martedì 4 dicembre 2018

Repubblica 4.12.18
Yehoshua e la banalità del male oscuro
La quotidianeità di un uomo che non vuole arrendersi al declino e le tensioni di una società che vive una guerra permanente
di Michela Marzano


Il grande scrittore israeliano che sarà ospite a Roma a “Più libri più liberi”, la fiera in programma da domani, torna con un nuovo romanzo. Dove racconta una coppia, la demenza senile di lui e, sullo sfondo, il conflitto con la Palestina
Come ci si comporta di fronte all’ineluttabile e progressiva perdita di sé? Cosa resta di noi nel momento in cui la razionalità e la logica vengono meno? Quando Zvi Luria, un ingegnere in pensione di 73 anni, e sua moglie Dina, una pediatra ancora in attività, escono dallo studio del neurologo consultato perché Zvi ha cominciato a smarrire la memoria, sono entrambi spaventati. « Non dire demenza, si infuria lei. Il medico ti ha avvertito di non farlo. Allora cosa devo dire?
Disorientamento, smarrimento, confusione.
Troveremo altri termini » .
Nessuno dei due, però, ha voglia di abbattersi. Certo, c’è un’atrofia del lobo centrale, come spiega loro il medico.
Ma siccome nessuna patologia segue regole precise, meno che mai quelle della corteccia cerebrale, è bene che l’anziano ingegnere si mantenga attivo: « La velocità di un eventuale processo degenerativo dipende anche da lei, da come combatterà contro la malattia » . Basta questo, a Dina, per trovare la forza di reagire e suggerire a Zvi di ricominciare a lavorare.
Perché non dare una mano al giovane Assael Maimoni che occupa il posto che per anni aveva occupato il marito?
Perché non far fruttare l’esperienza accumulatasi nel corso degli anni e non diventare assistente volontario?
Inizia così una strana e commovente collaborazione tra il giovane ingegnere e l’anziano capodivisione per la progettazione di una strada segreta nel deserto di Negev che porterà Zvi a difendere contro ogni logica economica e politica la costruzione di un tunnel nel cratere Ramon.
Sulla collina dove dovrebbe passare la strada vive infatti una famiglia di rifugiati palestinesi, e l’unico modo per garantirne l’incolumità è evitare appunto di spianare la collina.
Il tunnel, l’ultimo romanzo dello scrittore israeliano Abraham B. Yehoshua ( Einaudi, traduzione di Alessandra Shomroni) — noto in Italia non solo per la potenza della scrittura, ma anche per il costante impegno a favore di una convivenza pacifica tra israeliani e palestinesi — riesce a intrecciare in maniera magistrale la questione della perdita della memoria con quella dell’identità collettiva, la storia intima di una coppia costretta a fare i conti con la vecchiaia e la malattia con la storia politica e sociale di una comunità complessa e dilaniata.
Chi ha dimestichezza con la demenza senile sa bene che non c’è nulla da fare per bloccare l’inesorabile processo della malattia. Sa che, nonostante tutta la buona volontà, il cervello pian piano si spegne. Conosce soprattutto l’angoscia e la paura delle persone care, che non accettano che chi è accanto a loro non sia più la stessa persona di prima.
Ma sa anche che la demenza, allentando le catene del controllo, fa talvolta emergere tratti della personalità fino ad allora tenuti nascosti — « Lei non mi fa paura, signor Luria, al contrario » , dirà Maimoni quando Zvi ammetterà di essere malato. « La demenza di un ingegnere della sua esperienza potrebbe dimostrarsi liberatoria, creativa » .
Anche quando la memoria è definitivamente compromessa, l’umanità di chi è malato resta intatta.
Anzi, talvolta si accentua quell’empatia profonda che, spesso senza motivo, ci lega gli uni agli altri.
In un va- e- vieni continuo tra la quotidianità di un uomo che non vuole arrendersi al declino — si fa tatuare sul braccio i numeri del codice antifurto della macchina per poter continuare a utilizzarla, ma guida in maniera spericolata e un giorno la patente gli viene definitivamente ritirata; si sforza di ricordare i nomi e i luoghi, ma quando una sera un tassista gli chiede l’indirizzo di casa, risponde amareggiato che ricorda solo di abitare in una via intitolata a un grande rabbino — e le tensioni di una società che non riesce a riappacificarsi e vive in uno stato di guerra permanente, Yehoshua costruisce un ritratto esemplare delle contraddizioni dell’esistenza umana.
Ecco allora che accanto all’esigenza politica di progettare una strada segreta per poi costruire una stazione di radioascolto — « La prossima guerra consisterà soprattutto nell’intercettare le comunicazioni del nemico, per essere sicuri che il nemico non ci stia ascoltando » — emerge il dramma di una famiglia di rifugiati che, avendo lasciato il proprio villaggio nel distretto di Jenin, non è più palestinese ma non è ancora israeliana: « Sono gente senza identità. Per questo hanno bisogno di un tunnel » . Accanto al bisogno di razionalizzare le spese per la strada spianando la collina dove abitano i profughi, emerge la pietà di un uomo che, proprio perché demente, difende a spada tratta la costruzione del tunnel: « Solo un ingegnere senescente e affetto da demenza si azzarderebbe a cercare di convincere i rappresentanti del ministero della Difesa a finanziare un simile progetto » .
« Non contare su di me » , dirà un giorno Zvi a sua moglie, stanco di dover combattere contro l’inesorabilità della malattia. « Sto andando a fondo, sono confuso, non so nemmeno che giorno sia oggi » . Ma è proprio grazie a lui che, alla fine, verrà approvato il progetto del tunnel.
È proprio grazie alla sua demenza che, messa da parte la razionalità e la logica, la famiglia di rifugiati potrà continuare a vivere sulla collina nel deserto di Negev.