Corriere 4.12.18
L’intervista a Vincenzo Paglia
«Non si parla più della morte, la colpa è anche di noi cristiani»
di Aldo Cazzullo
L’arcivescovo: il linguaggio clericale non arriva né alle menti né ai cuori
Monsignor Paglia, perché un libro sulla morte si intitola «Vivere per sempre»?
«Perché
tutti siamo abitati da un istinto che pretende la continuazione, esige
una destinazione, e trova risposta nel risorgere. Siamo mortali, ma non
per la morte».
Sartre diceva che siamo una parentesi tra due nulla.
«Sarebbe
davvero ingiusto, non solo per la fede ma anche per la ragione. Sarebbe
un gigantesco spreco se tutto quello che abbiamo fatto, gli affetti, la
famiglia, finissero nel nulla. Ed anche l’etica sarebbe senza senso. Il
bisogno di un oltre è insito nel profondo dell’uomo».
Della morte però si parla pochissimo.
«È
vero. La morte è uno scandalo. Una domanda che cerchiamo di nascondere.
Non vogliamo pensarci, tanto che ci auguriamo di morire all’improvviso,
nel sonno, senza prepararci. Anche nella predicazione cristiana si
assiste a un occultamento delle cose ultime. Non affrontiamo il tema, o
lo facciamo con parole incomprensibili, un gergo clericale scontato e
superficiale che non parla più né alla mente né al cuore. Così si
finisce nella nebulosa dell’indistinto, nell’illusione della
reincarnazione».
Che la Chiesa esclude.
«Noi riconosciamo il
valore unico e universale di ciascuno di noi, tutti destinati ad abitare
i cieli nuovi e la terra nuova che verranno».
Lei scrive che la vita risorta è anche vita con i sensi.
«Certo.
Il cristianesimo va oltre la sopravvivenza platonica dell’anima. Il
cristianesimo è amore per la carne, per il corpo, per la creazione. Lo
dico a partire da Gesù che dopo la resurrezione parlava, sentiva,
toccava, mangiava, odorava... Non sappiamo come, però risorgiamo con il
corpo, certo risorto, ma con i sensi. Paolo lanciò questa sfida ad
Atene: quei filosofi di formazione socratica che accettavano il discorso
sull’immortalità dell’anima, ma non della carne, gli dissero: “Di
questo ti sentiremo un’altra volta”. Lo scandalo era troppo forte».
Lei come concepisce la resurrezione della carne?
«È
difficile anche solo concepirla. Furono i momenti più difficili anche
per gli apostoli: non riuscivano a credere che Gesù fosse risorto. Gesù
ci mette quaranta giorni per convincerli. E loro lo vedevano con le sue
mani e i suoi piedi ancora bucati dai chiodi. È il senso delle parole
del credo cristiano: credo nella resurrezione della carne e nella vita
del mondo che verrà».
Poi però ascende al cielo.
«Dove vuole al
suo fianco la Madonna. Per Maria si parla della morte molto tardi,
comunque si tramanda che si “addormentò” e fu portata con il suo corpo
nel cielo, accanto al figlio».
E Lazzaro?
«Lazzaro viene riportato
alla vita mortale. Non risorge. È un grande miracolo di Gesù. La sua
fama si allargò a tal punto che i capi religiosi decisero da allora di
ucciderlo. Gesù però, a differenza di Lazzaro, risorge alla vita eterna,
che non conosce più la morte».
E scende nel limbo, a liberare Adamo, Eva e i patriarchi.
Nuova prospettiva
«Abbiamo predicato
un cristianesimo della paura, è il momento della misericordia»
«Nel
Credo noi diciamo che Gesù discese agli inferi. L’iconografia orientale
la rappresenta con Gesù che trae dal buio della morte Adamo e Eva. È
una immagine piena di speranza. Per troppo tempo abbiamo predicato un
cristianesimo della paura; ora dobbiamo sottolineare la misericordia,
come fa papa Francesco. Anche noi dobbiamo scendere negli inferni di
questo mondo. Li dobbiamo svuotare. È il senso di una grande
misericordia che salva tutti i disperati, gli eliminati, gli oppressi».
Anche secondo lei l’inferno esiste ma potrebbe essere vuoto?
«L’inferno
esiste, è certamente una possibilità. L’inferno è la solitudine
assoluta. È la mancanza dell’incontro con Dio. Chi vive l’amore riceve
l’immortalità. Chi lo distrugge, distrugge il proprio futuro».
E il paradiso?
«La
parola viene dal persiano e significa giardino. Gan, in ebraico: un
giardino dove le famiglie dei popoli si ritroveranno in pace».
Ma nell’Antico Testamento, come ha fatto notare il rabbino Di Segni, l’idea dell’aldilà è vaga.
«È
vero. In alcuni passaggi si intravede la luce della resurrezione; ad
esempio nel martirio dei sette fratelli Maccabei, che subiscono
l’ingiustizia suprema della tortura e dell’uccisione per amore di Dio.
Lo snodo del cristianesimo è la forza di Dio che resuscita Gesù e con
lui tutti coloro che si lasciano toccare dall’amore».
Una vita non solo spirituale?
«No.
Una vita risorta, quindi non astratta. Una vita che risorge con il suo
corpo, la sua storia, il suo bagaglio di amore. Da quando Dio prende la
carne, il paradiso non può più fare a meno della carne, quindi di noi».
Ma
c’è un passo dei Vangeli che suona terribile. I sadducei tentano di
mettere in difficoltà Gesù chiedendogli di chi sarà moglie nell’aldilà
una vedova che ha avuto sette mariti. E lui risponde che nell’aldilà non
ci saranno né moglie né marito. Quindi non ci rincontreremo?
«Le
parole di Gesù vanno intese nel senso che veniamo liberati non
dall’affetto che unisce le persone care, ma dal possesso. Sarà un
affetto che non esclude gli altri. È possibile sperimentarlo già in
questa vita, quando una famiglia aiuta gli altri, e questi diventano
fratelli e sorelle».
Lei da quanto tempo fa il prete?
«Sono entrato in seminario a nove anni, ma già a sette sentivo il desiderio di diventare prete».
Avrà accompagnato nell’ora ultima molte persone. Come si muore?
«Tutti
hanno paura della morte, anche i santi. Anche Gesù. Ma tanti muoiono
serenamente, se sono accompagnati dall’amore dei loro cari. È una morte
confortata. Alcuni parlano anche di una sensazione di luce».
Il
cardinale Ruini ha dedicato un capitolo del suo libro «C’è un dopo?»
alle esperienze pre-morte, per concludere che non significano nulla:
quelle persone non sono morte, quindi della morte non sanno niente.
«È
così. C’è una morte biologica, che porta al dissolvimento del corpo, ma
non rappresenta la fine; semmai, un passaggio. La morte è il momento
del passaggio nel quale ci troviamo davanti a Dio, lo vediamo faccia a
faccia. E lo vedremo come un Padre che ci sta aspettando per
abbracciarci, per condurci con sé nel paradiso. Non è un Dio che giudica
con severità. Ricordo il cardinale Parente, che ha vissuto nella casa
dove ora abito. Al momento della morte mi disse: per fortuna, Dio è più
misericordioso che giusto».