Repubblica 3.12.18
L’incubo giallo di Macron
di Bernardo Valli
La
collera è il sentimento che da giorni prevale in Francia. Le
spettacolari colonne di fumo nel centro di Parigi, attorno all’Arco di
Trionfo cancellato per ore da una fitta nebbia, i falò delle automobili
nei boulevards, le vetrine frantumate e i negozi saccheggiati nella
capitale, ma anche in alcuni centri di provincia, fanno pensare a una
jacquerie, a una di quelle rivolte contadine che in secoli lontani
investivano il paese. Ma, con quel che accade nella Francia moderna,
industriale e democratica, il paragone non regge. È allora l’agitata
vigilia di una rivoluzione? Non è neppure questo perché i gilets jaunes
non sembrano voler conquistare il potere. Non è emerso finora un vero
capo, né un’organizzazione a livello nazionale. Con il tempo qualche
rappresentante del movimento informe finirà con l’emergere. Ma per ora
Emmanuel Macron, bersaglio principale dei manifestanti che chiedono le
sue dimissioni, ha ordinato al primo ministro di convocare e dialogare
con i capi dei partiti politici. I quali non hanno alcuna presa sui
gilets jaunes.
Chi si aggirava nella Parigi in rivolta per cercare
di leggere la natura della collera collettiva, si imbatteva subito in
un enigma: in una situazione politicamente non facile da decifrare. I
militanti di estrema sinistra e di estrema destra, i più violenti, che
appiccavano il fuoco alle automobili, sfondavano le vetrine e lanciavano
sanpietrini sulla polizia, si muovevano fianco a fianco, erano
antagonisti con un unico avversario. C’è stata qualche eccezione. Per
fortuna. Affiliati di gruppuscoli antisemiti, filo nazisti, con i loro
emblemi, sono stati allontanati con la forza. In generale i gilets
jaunes pacifici assistevano alle manifestazioni di violenza a volte
perplessi, in alcuni casi deplorandoli, ma in generale, pur non
appartenendo a partiti estremisti, o essendo addirittura senza partito,
erano spettatori in sostanza consenzienti. Le bande violente, con le
maschere antigas, i piedi di porco per divellere i sanpietrini e le
mazze per infrangere le vetrine, erano guardati come truppe d’assalto.
La loro azione dava forza all’insurrezione.
È stata chiamata una
strana " convergenza della sommossa". Per spiegarla sono stati elencati
gli obiettivi comuni: Emmanuel Macron e il suo governo, le sue riforme e
la filosofia politica ed economica che le ispira. La protesta contro il
rialzo del carburante ha certamente colpito la Francia profonda, quella
che usa i mezzi di trasporto personali per raggiungere il posto di
lavoro, non essendoci trasporti pubblici. Quella è la Francia dei bassi
salari che ha visto la Francia privilegiata uscire indenne o
avvantaggiata dalla crisi. Le riforme promosse da Macron hanno attizzato
la collera. L’ aumento del carburante è arrivato come uno schiaffo:
dopo la soppressione dell’imposta sulle grandi fortune (la
patrimoniale). L’ aumento è stato giustificato con l’emergenza ecologica
dei prossimi decenni. I manifestanti hanno risposto che i loro problemi
sono nel presente non nel futuro. L’ emergenza è oggi, non domani. Le
rivendicazioni si sono allargate. Non riguardano più soltanto il prezzo
del carburante. Il cui rincaro ha fatto da detonatore.
Un
collettivo dei gilets jaunes chiede l’apertura di stati generali della
fiscalità; una conferenza sociale nazionale; un dibattito regionale sui
problemi della mobilità e dell’organizzazione del territorio; l’adozione
dello scrutinio proporzionale per le elezioni legislative, affinché la
popolazione sia veramente rappresentata in Parlamento. A queste
richieste si aggiunge un aumento dello smig (il salario minimo
garantito) e un miglioramento dell’assistenza sanitaria che ha subito
tagli di recente. Sono aspirazioni che si raccoglievano dalla viva voce
dei manifestanti. Il cui peso sul piano nazionale sarebbe relativo se ci
si limitasse a quelli che le prefetture hanno contato per le strade. I
ripetuti sondaggi hanno rilevato che tre francesi su quattro, il 75% e
più, approvano l’azione dei gilets jaunes.
Sbarcando a Parigi ieri
mattina, proveniente dall’Argentina dove aveva partecipato al G20,
Emmanuel Macron ha avuto l’impressione di arrivare in una capitale
ostile? Ha trovato il quartiere non distante dal palazzo dell’Eliseo
ancora segnato dai violenti disordini del giorno precedente. Ha dedicato
un minuto di silenzio al milite ignoto, sepolto sotto l’Arco di
Trionfo, sfregiato dalle scritte dei manifestanti. Neppure un mese fa,
l’ 11 novembre, circondato da capi di Stato e di governo, celebrava in
quello stesso posto la vittoria nella Grande guerra. La Francia ha nel
frattempo cambiato umore. Il presidente ha raggiunto la non lontana
avenue Kléber, teatro dei più accesi scontri di sabato. Non a caso ha
dedicato le sue prime strette di mano ai gendarmi allineati davanti alle
vetrine infrante dei negozi. Gendarmi spossati e demoralizzati dalle
lunghe ore di servizio e dal confronto con i giovani violenti, che non
risparmiavano pietre divelte dal selciato e insulti. I sindacati della
polizia hanno espresso con veemenza la stanchezza dei reparti impegnati
negli ultimi giorni. Altre fonti non hanno risparmiato le critiche alla
tattica adottata per proteggere il centro di Parigi. Non a caso Emmanuel
Macron ha stretto a lungo le mani dei gendarmi e li ha interrogati e
rincuorati. Poi ha raggiunto l’Eliseo dove ha riunito alcuni ministri.
Non quello della difesa, presenza necessaria nel caso si intendesse
dichiarare lo stato d’emergenza.
Nonostante i loro sforzi di
inserirsi nel movimento di protesta, i partiti dell’opposizione sono
stati tenuti ai margini. I gilets jaunes non li hanno voluti come
alleati. Né hanno accettato i propri rappresentanti nelle loro file. Ma
l’estrema destra, il Rassemblement National ( ex Front National), e
l’estrema sinistra, il partito degli Insoumis, vorrebbero un voto di
censura al governo, all’Assemblea nazionale. E mettono in discussione la
stessa presidenza della Repubblica. La crisi francese fragilizza
Emmanuel Macron come campione degli europeisti nelle elezioni di
primavera per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo. Come Angela
Merkel è politicamente in difficoltà a Berlino, Macron vive tempi
agitati a Parigi.