Repubblica 3.12.18
Intervista a Christophe Guilluy
"Negli Scontri di Parigi è nata la secessione sociale"
di Anais Ginori
PARIGI
Il geografo Christophe Guilluy ha inventato quattro anni fa il termine
"France Périphérique" mappando sul territorio le classi popolari escluse
dalla globalizzazione. «Per molto tempo non sono stato ascoltato»,
ricorda Guilluy, citato oggi come uno dei primi intellettuali ad aver
avviato una riflessione sul divorzio tra popolo ed élite. I suoi libri —
l’ultimo "No Society" che sarà tradotto in Italia — sono al centro
dell’analisi sui gilet gialli, la grande rivolta della Francia
Periferica. «È in corso una secessione interna all’Occidente», spiega
Guilluy.
La Francia è l’epicentro di questa crisi?
«Da anni
spiego che c’è un elefante malato in mezzo al negozio di porcellana.
Molti rispondevano: ma no, è solo una tazza scheggiata. E invece
l’elefante eccolo qui: è la classe media. Sono agricoltori e operai,
famiglie delle zone semiurbane, piccoli commercianti e imprenditori che
non arrivano a fine mese. Dopo Brexit, elezione di Trump, cambio di
governo in Italia, tutti vedono il problema ma siamo ormai arrivati a un
punto di insurrezione».
Quando è cominciata la "secessione" tra popolo ed élite?
«Io
prendo come inizio la famosa frase di Margaret Thatcher del 1987:
"There is no society". Il suo messaggio è stato ripreso non solo dai
conservatori ma dall’insieme delle classi dominanti occidentali. Tutte
hanno abbandonato la nozione di bene comune in favore della
privatizzazione dello Stato.
Siamo così entrati in quella che
definisco "a-società", con la crisi della rappresentanza politica,
l’atomizzazione dei movimenti sociali, l’arroccamento delle borghesie,
l’indebolimento del welfare».
Tutte le statistiche dimostrano che la Francia è oggi più ricca di qualche decennio fa. Non è un paradosso?
«È
un andamento che giova solo al ceto medio alto: sono i vincenti della
globalizzazione ormai asserragliati tra Parigi e le altre grandi
metropoli. Il modello economico non sa integrare la maggioranza dei
lavoratori».
C’è una specificità francese?
«Esiste una Francia periferica come esiste un’Italia periferica, tra Mezzogiorno e altre zone remote.
Mentre la sinistra pensa sia solo una questione sociale, la destra riduce tutto a una crisi identitaria.
Sbagliano
entrambi. E a complicare le cose in Francia c’è un sistema di
fabbricazione delle élite che produce un pensiero conformista».
Dove porterà questa crisi?
«È
solo l’inizio. La buona notizia è che ormai i perdenti non sono più
invisibili. Quel che succede in Francia ne è una straordinaria
dimostrazione».
Ovvero?
«Non è un caso che il movimento
abbia preso come simbolo il gilet giallo usato dagli automobilisti per
essere avvistati sulle strade. È un modo rudimentale di combattere
contro l’invisibilità sociale. I gilet gialli hanno già vinto la loro
battaglia culturale come direbbe Gramsci. Finalmente si parla di loro».
L’unico collante della protesta è l’opposizione a Macron?
«Molti
hanno pensato che potesse affrancarsi dall’ideologia dominante. Invece
Macron si è allineato, come già avevano fatto Hollande, Sarkozy. Adesso
l’unica soluzione per il presidente è prendere sul serio le
rivendicazioni del popolo».
Alla fine sono i populisti che cavalcano la rabbia e ci guadagnano.
«I
populisti si adattano alla domanda politica. Un buon esempio è Salvini,
che viene dalla sinistra, è stato neoliberista, secessionista e oggi
invece è in un governo che fa votare il reddito di cittadinanza e si fa
applaudire nel sud Italia. Nel medio periodo però il voto populista non
risolve nulla».
Perché?
«Le classi popolari non vogliono
mendicare, non si accontentano di un nuovo sussidio o del reddito di
cittadinanza. Quel che vogliono è poter vivere dignitosamente con un
lavoro e una giusta remunerazione».
La Francia Periferica è orfana della sinistra?
«La
gauche ha compiuto una doppia cesura: con la sua base popolare e con la
sua visione teorica. Il partito comunista è stato forte perché
rappresentava il proletariato, ma aveva una classe intellettuale capace
di elaborare strumenti di trasformazione sociale. Solo ristabilendo un
legame di fiducia tra l’alto e il basso si potranno ricostruire le
società occidentali».