Repubblica 3.12.18
Il caso diplomatico
Regeni, rottura totale l’Egitto contro i pm
I magistrati del Cairo: "Non metteremo sotto accusa i nostri 007"
Poi sfidano la procura di Roma: indaghi sul visto turistico di Giulio
di Giuliano Foschini
Se
mai ci fosse stato un dubbio sulla volontà dell’Egitto di collaborare
per l’Egitto nell’inchiesta sul sequestro, la tortura e l’omicidio di
Giulio Regeni, ieri quel dubbio è stato ufficialmente fugato. Dopo quasi
tre anni di melina e di depistaggi, la procura generale del Cairo
risponde a muso duro — questo per lo meno riporta l’agenzia egiziana
Mena, solitamente assai informata — alla decisione della procura di Roma
di iscrivere almeno cinque agenti della National Security per il
sequestro di Giulio: dicono infatti che lo ritengono un atto
unilaterale, non fosse altro perché nell’ordinamento egiziano " non
esiste" il registro degli indagati. Difendono gli agenti della National
Security che hanno indagato su Giulio fino al giorno della sua scomparsa
nel nulla. E, soprattutto, ulteriore sfregio, « invitano gli inquirenti
italiani a indagare in direzione del visto che aveva Regeni: un visto
turistico e non per studenti nonostante fosse un ricercatore».
Ora
la vicenda sarebbe surreale, se non fosse davvero una vergogna: primo
perché con il visto turistico in Egitto entrano abitualmente tutti, dai
giornalisti appunto agli studenti universitari o ai ricercatori che
devono passare un breve periodo nel paese. Secondo, perché gli egiziani
tirano fuori la questione solo ora, cioè quasi tre anni dopo
l’assassinio di Giulio e soprattutto dopo vergognosi depistaggi (tra cui
la morte di cinque innocenti). Infine perché il caso viene utilizzato
per lanciare un’ombra inesistente: non c’è niente ancora da indagare,
Regeni era soltanto un ricercatore (come tutto ha dimostrato in questi
anni di inchieste) vittima, suo malgrado, di un regime sanguinario. In
ogni caso, proprio perché non c’è niente da nascondere, è possibile che
da Roma forniscano ulteriori chiarimenti al Cairo sulla questione del
visto. Convinti però, i nostri investigatori, di continuare ad andare
dritti sulla propria strada nell’accertamento dei fatti: una via stretta
e tortuosa, dal momento che è possibile che senza un supporto egiziano
non si possa andare oltre il punto in cui si è già arrivati. E che
quindi si debba procedere con una richiesta di archiviazione.
Un’archiviazione che però certificherebbe una volta per tutte la non
collaborazione del regime di Al Sisi, lo stesso politico accolto appena
qualche settimane fa con tutti gli onori dal premier Giuseppe Conte nel
vertice italiano di Palermo.
Fino a questo momento l’inchiesta
sull’assassinio di Regeni ha proceduto per sottrazione. Tutto quello che
di certo si sa è grazie al lavoro della magistratura italiana, dei
poliziotti dello Sco e dei carabinieri del Ros che hanno smontato pezzo
per pezzo il castello di bugie che arrivava dal Cairo. L’attenzione dei
magistrati romani è ora su almeno cinque persone, tra poliziotti e
agenti della National Security che hanno indagato su Giulio da dicembre
del 2015 fino al giorno della sua scomparsa. Sono loro che hanno chiesto
a Mohammed Abdallah, sindacalista dei venditori ambulanti in contatto
con Giulio, di registrare di nascosto Regeni. Loro che avevano cercato
di ottenere una copia del suo passaporto.
Questo non era bastato
alle autorità egiziane per muoversi autonomamente. E dopo le accuse del
presidente della Camera, Roberto Fico, che ha annunciato la sospensione
dei rapporti con il parlamento del Cairo, e l’inevitabile intervento del
Governo (il ministro degli Esteri Enzo Moavero Molanesi) è arrivata dal
Cairo prima la risposta piccata della politica. E ora anche quella
della magistratura. In modo tale che sia chiaro a tutti chi sta cercando
la verità sull’assassinio di Giulio. E chi, invece, da quella verità
gira a largo.