Repubblica 27.12.18
Due saggi sull’inconscio cognitivo
Quante azioni posso compiere a mia insaputa
di Massimo Ammaniti
Nel
linguaggio quotidiano parliamo spesso di inconscio quando vogliamo
giustificare o spiegare comportamenti che non rispondano ad una logica
razionale. Ma a che cosa ci si riferisce quando viene usata la parola
inconscio?
Probabilmente nell’uso comune si è influenzati ancora
oggi dalle concezioni di Freud discusse più di cento anni fa nel suo
famoso libro L’interpretazione dei sogni.
Nonostante Freud abbia
dato diverse versioni dell’inconscio, nel linguaggio comune si intende
una sorta di crogiolo della mente in cui si dibattono pulsioni che
vogliono emergere nella coscienza, ma da cui vengono rimosse.
Lo
stesso Freud era consapevole che l’inconscio dinamico, ossia quello
rimosso, «non esaurisce — come lui stesso scrisse nel 1915 - tutta la
sfera dell’inconscio. L’inconscio ha un’estensione più ampia».
I
territori dell’inconscio vengono esplorati in due libri di recente
pubblicazione, che si intrecciano fra loro quantunque anche molto
diversi, Molti inconsci per un cervello di Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà
(il Mulino, pagg.
205) e A tua insaputa di John Bargh (Bollati
Boringhieri, pagg. 422). Il retroterra di entrambi i libri è la scoperta
recente dell’inconscio cognitivo, che viene ad ampliare l’immagine
conflittuale dell’inconscio freudiano. In particolare vengono prese in
considerazione le esperienze mentali non consapevoli che si legano
continuamente con quelle più consapevoli, senza che entrino in rotta di
collisione. Il funzionamento inconscio avrebbe avuto un’origine antica
agli albori della civiltà, scrive Bargh nel suo libro, infatti il
cervello umano si è evoluto lentamente nel corso del tempo. In un
ambiente fortemente imprevedibile e complesso, come quello dei nostri
lontani antenati, l’intuizione e l’istinto potevano a volte, anche se
non sempre, giocare un ruolo più adattivo rispetto al pensiero conscio
più finalizzato e circoscritto. Una conferma di questa fragilità della
razionalità si è verificata con la decisione del Governo Indiano di
ridurre il numero dei cobra che infestavano il paese mettendo una taglia
per ogni serpente consegnato. Ma il risultato è stato addirittura
opposto perché molte persone hanno cominciato ad allevare i cobra per
ottenere le taglie.
Ma quello che distingue l’inconscio freudiano
da quello cognitivo è il fatto che quest’ultimo può essere indagato con
indagini mirate, come viene ampiamente documentato nel libro di Legrenzi
e Umiltà. In un esperimento viene presentata a una persona l’immagine
mascherata di un cane, in modo che non sia percepita, e quando viene
riproposta successivamente la risposta della stessa persona è più rapida
proprio perché era stata archiviata in modo subliminare. È un ambito di
studi abbastanza noto che ha destato allarme in passato per i pericoli
di manipolazione dell’opinione pubblica e che si è riproposto più
recentemente con i "Big Data" utilizzati per condizionare le scelte
elettorali.
Legrenzi e Umiltà si chiedono se i comportamenti
intenzionali siano il frutto di decisioni razionali oppure prendano
origine nel cervello senza che ce ne rendiamo conto. A questo
interrogativo, che sembrerebbe scontato, le ricerche hanno dato risposte
inattese: si è documentato, ad esempio, che l’attivazione delle aree
cerebrali motorie precede la decisione di sollevare la mano che si
traduce poi nel movimento. Queste osservazioni potrebbero mettere in
discussione l’intenzionalità della mente umana e ricondurre le nostre
scelte esclusivamente all’attivazione dei circuiti cerebrali. Anche se
l’attivazione prende origine nel cervello, quando se ne prende coscienza
può essere confermata o addirittura bloccata dalla mente che rimane in
ogni caso il semaforo che dirige la nostra vita.
Sono due libri di
grande interesse anche per un pubblico più ampio, perché l’inconscio
cognitivo può aiutarci a comprendere come nascano in modo inconsapevole
fin dall’infanzia pregiudizi e rifiuti, come il razzismo, che poi
condizionano i comportamenti adulti senza che ne se abbia coscienza. Si è
osservato ad esempio che comportamenti fobici per ciò che è sporco
oppure contagioso si associano spesso a pregiudizi e rifiuti nei
confronti degli immigrati e dei diversi, percepiti anche loro come un
pericolo per la propria sicurezza. Un interrogativo conclusivo è quasi
scontato: l’ambito dell’inconscio cognitivo non è forse troppo limitato,
perché trascura il ruolo delle emozioni e delle ansie nell’insorgenza
di pregiudizi e intolleranze, che prima di essere cognitive coinvolgono
il mondo affettivo e addirittura le dimensioni viscerali.