Repubblica 27.12.18
L’analisi
Il rovescio dei diritti
di Nadia Urbinati
In
questo anno che si sta per concludere abbiamo avuto modo di constatare
quanto vero sia il detto che chi governa il significato delle parole
governa la società. Nelle democrazie costituzionali, dove opera lo Stato
di diritto e dove dovrebbe essere la legge a governare, le maggioranze
che si succedono si impegnano a interpretare le norme fondamentali
comuni; cosicché, nonostante le differenze, la grammatica resta la
stessa, come pure il significato dei termini. La recita politica della
quale siamo da qualche mese spettatori non sembra voler seguire questo
canovaccio. Succede che, nel nome del governo "del popolo" le parole
sono piegate a significare quel che più conviene, non tanto al popolo (
che comunque da solo non parla e non ha parola) ma a chi si
auto-proclama «popolo». La situazione è delle più bizzarre.
Primo
esempio. Si sente dire che i diritti civili sono per le «persone
normali»; quelle cioè "come noi", non solo perché italiane, ma anche
perché condividono le "nostre" norme morali o hanno gli stessi "nostri"
costumi. Ovviamente chi sia il "noi" è un rebus; varia da regione a
regione, e perfino da paese a paese: ma questo pluralismo scompare
quando si intendono i diritti come strategie per dare potere a chi ha
già potere. Nell’opinione di chi pensa in questo modo, i diritti civili
hanno un significato esattamente opposto a quello per il quale sono
stati ideati – ovvero per proteggere da o contro chi ha, appunto, il
potere ( politico e/ o culturale). Sostenere che i diritti sono " robba
nostra, ovvero di noi italiani" equivale a rovesciarne il senso, poiché
anche se io sono italiana avverto il bisogno di essere riconosciuta come
persona singola per essere protetta nelle mie scelte. Diversamente, chi
mi difenderà dall’opinione della maggioranza o di chi pensa come
gruppo- nazione? Anche " noi" abbiamo bisogno di essere protetti da
quelli che parlano in " nostro" nome o come " noi". Secondo esempio. Il "
reddito di cittadinanza" non è, come sappiamo, un " reddito" ma un
sussidio temporaneo a chi non ha lavoro o vive in condizioni di bisogno;
quando entrerà in vigore, sarà quindi sottoposto a diverse regole e
limitazioni. La dimensione è quella dell’aiuto, non del privilegio. Ma
per funzionare in questo modo occorrono alcune condizioni di limpidezza
che spesso mancano al "nostro" Paese. Il rischio di manipolazione
esiste. Matteo Salvini non ha usato mezzi termini, mettendo in conto che
gli evasori fiscali potrebbero apparire bisognosi di aiuto. Ma molto
furbescamente, il ministro ha già lasciato intendere che uno spiraglio
all’abuso verrà tollerato. Infatti, fra una fetta e l’altra di pane e
cioccolato, da bonario italiano " normale" ha dichiarato che il reddito
di cittadinanza non andrà nelle tasche di chi ha " i macchinoni", come
se tra "i macchinoni" e il niente non ci siano piani intermedi di
privilegio. Rovesciando il significato de «la legge è uguale per tutti»,
il nostro ministro ci invita a pensare che comunque la legge uguale non
lo è, e che un occhio verrà chiuso se non si esagererà nella violazione
(basta non avere "i macchinoni").
Terzo esempio. L’orgogliosa
affermazione di sovranità del "nostro paese meraviglioso", che ogni
giorno ci viene propinata dai social dei politici di governo, sembra
significare un riscatto del Paese in tutte le sue parti e le sue risorse
pubbliche. Scopriamo invece che « prima gli italiani » significa in
effetti prima " questi" italiani qua: per esempio, della nostra regione o
della nostra parte di Paese. Per cui, la scuola pubblica, che la
Costituzione dichiara essere dell’Italia repubblicana, diventa la scuola
pubblica delle " nostre" regioni. La scuola veneta o la scuola
lombarda: questa è, in effetti, la scuola della " nostra gente". Ecco
allora che, quella pomposa affermazione di sovranità si trasforma di
significato – diventa una strategia trabocchetto non per sostenere la
scuola della nostra Repubblica, ma per avere un occhio di riguardo alla
scuola della " nostra" parte di Paese. In sostanza, mentre dichiara
«prima i nostri», il sovranismo acquista un significato che non è per
niente generale. È di parte e settoriale, come il "noi" appunto, che
esclude alcuni per stare robustamente dalla parte di altri.