giovedì 27 dicembre 2018

Repubblica 27.12.18
Il film e le foto alla Certosa
L’isola dell’utopia nello sguardo di Mario Martone
di Conchita Sannino


È in un insolito gelo invernale, di quelli che riportano l’isola alla sua radicale essenza e ai "fantasmi" delle sue utopie, che gli si è accesa letteralmente la lampadina di Capri- Revolution. Mario Martone svela: «Fine anno, clima rigidissimo. Eravamo proprio al festival a presentare Il giovane favoloso. E in una ghiacciata mattina vediamo quei dipinti alla Certosa di San Giacomo. Le tele attraggono, ma è il rapporto tra arte e natura che c’è in Karl Diefenbach e il racconto della "comune" di artisti filosofi e musicisti che lui aveva radicato sull’isola, a farmi scattare un’intuizione. È stata la visione del contesto e della tensione in cui quella pittura nasceva a condurmi al film: come un corto circuito. Anche perché in me si attivava il ricordo personale dell’esperienza di Lucio Amelio e del suo incontro con Beuys».
Quattro anni dopo, come in una precisa risacca, l’isola restituisce l’omaggio. Il regista napoletano che con la comunità trasgressiva d’inizio secolo del film Capri- Revolution (in sala già dal 20 dicembre, scritto insieme alla moglie Ippolita Di Majo) chiude la triologia degli "indomiti" – dopo Noi credevamo e il film su Leopardi – riceve oggi il premio Master of Cinematic Art dal chairman Lee Daniels e dalla presidente del festival, Noa, durante la 23esima edizione del "Capri, Hollywood" fondato da Pascal Vicedomini. Va invece alla protagonista Marianna Fontana e ad Antonio Folletto, il riconoscimento "Attori del futuro", visto che un punto di forza dell’opera è il talentuoso cast quasi interamente under 30. «Con Ippolita già da tempo lavoravamo a una figura di donna che incarnasse desiderio di libertà e sguardo sul futuro», aggiunge il regista, «Marianna aveva il temperamento perfetto, e poi mi piace puntare sulle nuove generazioni: accanto a lei e a Folletto, Gianluca Di Gennaro, Eduardo Scarpetta, tutti magnifici attori per cominciare dai napoletani. È ciò che cerco di attivare anche in teatro, da sempre». Ne è ultima testimonianza il legame tra Martone e la compagnia Nest di San Giovanni a Teduccio, che ha prodotto il successo dell’adattamento 2.0 de Il sindaco del Rione Sanità, di Eduardo.
Nelle stesse ore, la Certosa di Capri ospita invece la mostra di Mario Spada con splendide foto scattate sul set: esposte a soli pochi metri da quei cromatismi potenti di Diefenbach, che sono stati d’ispirazione per la temperatura delle film. Che, ovviamente, non è rievocazione, ma storia di un’alba di Novecento capace di parlare al secolo successivo. «Ci siamo presi delle libertà, e il racconto punta all’idea di fondo: pone temi indispensabili oggi, a cominciare da centralità e tutela della natura, come partita decisiva per le politiche del futuro», ragiona Martone. «Le figure si mescolano, Diefenbach è morto nel 1913, il film parte dal 1914, vigilia della Grande Guerra, e il protagonista già non si dedica più alla pittura ma a perfomance». Al punto che il personaggio centrale si chiama Seybu: anagramma dell’artista sciamano Beuys. La visione di Martone risente infatti della densissima corrispondenza tra Napoli e arte contemporanea, proprio negli anni in cui la sua avanguardia teatrale incrociava la straordinaria avventura del gallerista Amelio. Martone confessa: «Quando feci il documentario sul grande Lucio, lui mi regalò un multiplo di Capri-battery, la famosa opera di Beuys in cui la lampadina si alimenta con un limone. La dedica mi è cara, mi ha sempre sorretto: "A Mario, batteria vivente. Joseph e Lucio». Firmò anche a nome dell’amico "sciamano" ormai scomparso.
Poi se ne andò anche Amelio. E anche lui volle essere sepolto a Capri. Proprio come Diefenbach.