Corriere 27.12.18
L’isola dell’utopia
Diefenbach, l’artistoide-santone che ammaliò Capri con il culto del sole
L’appuntamento
«Capri, Hollywood», che si apre ufficialmente oggi, propone il grande
cinema tra proiezioni, incontri, mostre. Come quella fotografica del
film di Martone su un abitante «profetico», qui raccontato da uno
scrittore
di Vladimiro Bottone
Esiste, nello
sterminato archivio della Rete, un controcanto alle foto del set di
«Capri Revolution», l’ultima fatica di Mario Martone, ora esposte nella
certosa di S. Giacomo. Sono delle lastre fotografiche con il vero Karl
Wilhelm Diefenbach: pittore, teosofo, attrazione caprese e profeta della
religione utopistica che spira come il vento ispiratore del film.
Karl
Wilhelm Diefenbach: quel tedesco dall’aspetto di messia selvaggio che i
visitatori di Capri — a inizi ‘900, appena sbarcati dalla funicolare —
si vedevano venire incontro. Quel personaggio dalla barba patriarcale e i
capelli arruffati, abbigliato con sandali e una tunica di sacco, che li
faceva oggetto di mille insistenze affinché lo seguissero presso il suo
atelier. Quanti di quei viaggiatori si saranno fatti persuadere ad
acquistare un dipinto? Non pochi, vista la capacità di suggestione che
hanno gli estremamente suggestionabili come Diefenbach.
Diefenbach
il santone al centro di una famiglia allargata di adepti, prima a Ober
St. Veit periferia di Vienna, infine lì in via Camerelle. Diefenbach la
guida di quelle comuni ante litteram che si riveleranno poi,
immancabilmente, tante piccole corti più o meno poligamiche, imperniate
intorno al maschio alfa soggiogatore dei propri fedeli. Diefenbach
l’Erlöser, il Redentore che avrebbe voluto riscattare i suoi simili
dalla loro condizione di bestialità, convertendoli al culto del Sole e
alla mistica naturista del corpo. Una personalità eccentrica? Peggio: un
artista mancato o, almeno, incompiuto. E gli artistoidi finiscono
sempre per voler fare dell’Umanità la propria opera d’arte.
Chi è,
dunque, l’uomo che ci guarda da alcune fotografie dell’altro secolo,
fingendo di traguardare verso un orizzonte messianico? Una pietra dello
scandalo per la severa morale, ancora perbenista se non vittoriana,
della Vienna e della Monaco a lui coeve? Un utopista abbagliato dalla
visione di una nuova morale sciolta dai lacci di quella
giudaico-cristiana? Un cantore delle società mediterranee e pagane
idealizzate, secondo un abbaglio storico e culturale tipicamente
tedesco, come luoghi di incondizionata apertura panica alla natura e ai
sensi? Diefenbach fu tutto questo ma, soprattutto, qualcos’altro.
Qualcos’altro che ce lo rende contemporaneo (ed ecco svanire l’illusione
prospettica emanata dalle fotografie in Rete, dalle loro seppiature,
dal loro profumo di epoche apparentemente senza possibilità di
congiunzione con quella presente). Perché Diefenbach fu non un utopista,
non l’ideatore di costruzioni sociali immaginifiche, irrealizzabili e,
di fatto, irrealizzate. Diefenbach — il pittore dal braccio paralizzato,
super compensato dall’ipertrofia all’Ego da Redentore ed Eletto — fu in
realtà un precursore. Vale a dire una personalità che non progetta
tempi e luoghi inesistenti (u-topia), ma che semplicemente agisce in
anticipo sull’avvenire. Un avvenire del quale incarna già tutti gli
sviluppi, potenziali e in boccio.
Non per nulla Diefenbach il
teosofo precorre l’epoca delle religioni cosmiche, dei culti privati e
«fai da te». Diefenbach anticipa le comuni hippy; è il teorizzatore di
una natura incontaminata e purificata. Quell’innocuo eccentrico d’inizio
secolo (anche Rilke poteva sbagliare nei propri giudizi), in realtà non
rappresenta affatto uno dei tanti svitati, o artisti venuti male quanto
le loro opere, che il clima caprese ha attratto fra Ottocento e
Novecento.
Quello spauracchio dei turisti è l’iniziatore del
naturismo, l’ideologo della superiorità morale caratterizzante la nudità
rispetto alla restrizione e all’artificio dell’abbigliamento. È l’aedo
della dieta vegetariana, l’assertore del superamento della monogamia. È
il magnete che richiama, intorno a sé, l’attivista per i diritti degli
animali Magnus Schwantje, oltre che il discepolo prediletto e aiutante
Hugo Höpper, la cui parabola ideologica si concluderà fra le braccia di
Hitler.
L’esaltazione pagana del corpo e della gioventù come
sinonimo dell’unica bellezza appartiene al nazismo. Sarà poi la
pubblicità a inverarla come unica verità indiscussa del nostro tempo.
Guardarsi sempre dai precursori: appartengono al Passato, ti pugnalano
alle spalle dal Futuro.