Repubblica 21.12.18
In una parrocchia di Roma
Il prete fa spiegare il Vangelo ai gay "Ci arricchiscono"
La scelta del sacerdote apprezzata dai fedeli "Nella parola di Dio c’è tanta inclusività"
di Paolo Rodari
ROMA Una cosa è essere aperti teoricamente all’inclusione, un’altra è davvero ascoltarsi.
Non
è detto che il punto di vista mio sia sempre il migliore. Per questo
abbiamo chiesto che siano le persone omosessuali che già frequentano la
nostra parrocchia a introdurre mensilmente un momento di preghiera
aperto a tutti. In questo modo partecipano alla vita comunitaria senza
ghettizzarsi e portano un contributo importante per ognuno».
Don
Paolo Salvini è parroco a Roma a San Fulgenzio, nel quartiere di Monte
Mario. La sua è una realtà da sempre aperta della diocesi, che ha
iniziato a ospitare un gruppo di credenti gay alcuni anni fa.
«Non
facciamo una lettura omosessuale della Scrittura — ci tiene a dire don
Paolo — ma permettiamo alle persone omosessuali di parlare della
Scrittura secondo la loro sensibilità affinché tutti ne siano
arricchiti. Agli incontri sono invitati tutti i parrocchiani, adulti e
giovani, e devo dire che lo fanno in tanti e con gioia».
Fino a
qualche tempo fa le persone omosessuali si riunivano da sole. Poi la
"sveglia", arrivata loro dalle parole della teologa Antonietta Potente:
«State qui, fra di voi, ma come possono le vostre vite essere humus per
gli altri se non uscite? Cercate di confrontarvi, di trovare strade di
incontro con tutti i parrocchiani, affinché siate davvero occasione di
stimolo».
E così è stato, anche grazie al placet del nuovo vicario di Roma Angelo De Donatis.
Il
gruppo che frequenta la parrocchia si chiama Nuova Proposta, polo
romano di Cammini di Speranza, l’associazione nazionale che riunisce le
persone Lgbt cristiane. Racconta il portavoce Andrea Rubera: «All’inizio
eravamo ospitati per fare degli incontri fra di noi, senza
contaminazione con la parrocchia. Poi è arrivata dal parroco la proposta
di implicarci di più con gli altri, e così abbiamo fatto. Ogni mese
apriamo una catechesi nella quale riflettiamo su degli episodi del
Vangelo significativi dal punto di vista dell’inclusività — il dialogo
fra Gesù e la Samaritana, ad esempio — quindi facciamo un momento di
silenzio e poi ci confrontiamo. A tema non c’è l’omosessualità, la
prospettiva è infatti un’altra, è avere voce per tutti, è far sì che la
nostra sensibilità abbia diritto d’esistenza. Tempo fa avevo partecipato
a degli incontri che in forma più o meno nascosta la diocesi
organizzava per gli omosessuali credenti. C’era sempre qualcuno che
doveva "indottrinarci". Qui no. Qui il nostro punti di vista conta, e
contiamo noi come persone».
"Building a Bridge", non a caso, è il
titolo del libro del gesuita James Martin che ha fatto scuola anche in
Italia. «Cosa desiderano gli omosessuali credenti dalla Chiesa?» si era
chiesto in una intervista su Repubblica. «La stessa cosa che tutti
vogliono tutti sentirsi a casa».
«Inclusione — recita infatti il
volantino d’invito alle catechesi di San Fulgenzio — significa guardare
all’altro alla pari, creare ambiti sempre più larghi dove ciascuno possa
sentirsi a casa propria, partire dalla valorizzazione delle diversità
per creare "nuove cose"». Dice ancora Rubera: «La premessa è l’ascolto
non giudicante, una metodologia molto forte, dunque, che costringe ad
ascoltare l’altro senza volere a tutti i costi controbattere».
Certo, le catechesi non sono l’unico momento simile a Roma.
Da
qualche mese Nuova Proposta assieme a Comunità di Vita Cristiana, una
realtà laicale legata ai gesuiti, offre occasioni d’incontro per
genitori con figli omosessuali. Per molti genitori credenti il coming
out del figlio può essere uno shock, parlarne insieme aiuta a capire, a
comprendere, a includere.
Anche perché, come ha detto più volte il
teologo Alberto Maggi, «l’orientamento sessuale al fine delle
Beatitudini della vita, non conta». Ciò che conta, piuttosto, è la
qualità d’amore che ognuno decide di dare alla propria esistenza.