Il Fatto 21.12.18
Il sogno del Papa: mai più preti gay
di Marco Marzano
Il
papato di Francesco, iniziato nel 2013, è entrato da tempo in una fase
di completa paralisi, quasi scomparendo dalle cronache. Anche i suoi
tanti apologeti sono ormai, dinanzi all’evidenza palmare del tramonto di
ogni ipotesi riformatrice, sempre più spesso costretti ad un
imbarazzante silenzio. La lettura del libro-intervista La forza della
vocazione (conversazione con Francesco Prado, pubblicato da EDB) da
pochi giorni in libreria conferma appieno la sensazione che da Santa
Marta non ci si possa aspettare più nulla di buono.
Il cambiamento
della disciplina dei ministeri ecclesiastici è il punto più importante
dell’agenda riformatrice, dal momento che riguarda sia il ruolo delle
donne nella Chiesa che il regime del celibato obbligatorio del clero. Su
tutto questo, nell’intervista del papa, si trova solo una stanca
conferma della concezione tradizionale del sacerdozio cattolico e cioè
di un modello anacronistico e ipocrita che pretende di fare di ogni
maschio sacerdote un piccolo martire: totalmente dedito alla sua
altissima missione, incorruttibile e gioiosamente capace di castrare
ogni desiderio di affettività e di amore concreto per il prossimo.
Se
avesse voluto pronunciare delle parole di verità, il papa avrebbe
dovuto fare almeno un cenno alle gravi sofferenze psicologiche di
tantissima parte del clero cattolico e aggiungere che, come ormai
documentato dall’enorme quantità di inchieste, documenti, reportage
giornalistici e scientifici, la realtà del celibato ecclesiastico è ben
diversa dall’ideale irraggiungibile e disumano disegnato dalla dottrina
cattolica in tempi molto lontani dal nostro. Avrebbe dovuto il papa
almeno menzionare tra i problemi legati alla condizione dei sacerdoti
cattolici quello dei gravissimi e numerosi abusi commessi ai danni di
minori e non solo.
Questo avrebbe dovuto dire il papa. E invece
l’unico riferimento alla sessualità che troviamo nelle pagine della
“forza della vocazione” è dedicato all’ennesima e sconsolante
stigmatizzazione dell’omosessualità. A questo proposito, il papa
ribadisce che, indipendentemente dal loro comportamento, nelle file del
clero gli omosessuali non dovrebbero essere ammessi. “La chiesa
raccomanda che le persone con questa tendenza radicata non siano
accettate al ministero né alla vita consacrata. Il ministero o la vita
consacrata non sono il loro posto”, ha detto perentoriamente il papa a
chi lo intervistava. Ma Jorge Mario Bergoglio non si è limitato a questo
e ha accennato al fatto che l’omosessualità è, sono sue parole, una
“mentalità” divenuta “di moda”. L’omosessualità sarebbe cioè oggi per il
pontefice, più che un orientamento sessuale, una sorta di ideologia o
almeno uno stile di vita che, dal suo punto di vista, rischia di
diffondersi pericolosamente anche nella Chiesa, una sorta di malattia
contagiosa che minaccia di farsi strada anche nella comunità ecclesiale.
L’elemento
implicito nel ragionamento del papa è che gli omosessuali non siano in
grado, per loro natura, di tenere a freno i loro impulsi sessuali, che
siano più distanti degli altri da una piena condizione umana, che siano
meno capaci, a causa della loro condotta irresponsabile, di evitare
scandali e clamori.
Le parole di Francesco confermano che il papa
argentino, al pari di quanto fanno da sempre i cattolici reazionari, è
pronto a identificare negli omosessuali il principale capro espiatorio
di tutti i malanni che affliggono il celibato ecclesiastico. Basterebbe
cacciare gli omosessuali dal clero (o meglio non ammetterli tra i suoi
ranghi), questo sembra suggerire il papa, per risolvere come d’incanto i
problemi legati alla disciplina del celibato. E dunque riportare la
chiesa nella giusta carreggiata.
Con questo ragionamento,
Francesco ha preso due piccioni con una fava: da un lato, ha fatto
un’importante concessione alla destra interna, che di lui ha a lungo
diffidato e che sul tasto dell’omofobia preme da sempre, dall’altro, ha
fatto mostra di adoperarsi in una difesa a oltranza del tradizionale
modello clericale tridentino, ovvero di una struttura ecclesiale basata
sull’eterna supremazia di una casta di maschi celibi e la perenne
esclusione delle donne dai ruoli di comando.
Le conseguenze sul
piano pratico del nuovo messaggio papale non sono difficili da intuire:
tutti (e sono moltissimi) i seminaristi e i preti gay dovranno
moltiplicare le cautele e aumentare gli sforzi per tenere segreta la
loro vera identità sessuale. Dato che il mondo non cambia a seguito
delle minacciose esortazioni di un anziano pontefice, costoro sono stati
di fatto invitati a raddoppiare le dosi di ipocrisia necessarie per
castigare con severità i costumi altrui e a proclamare solennemente dal
pulpito, anche a propria discolpa, la condanna definitiva
dell’omosessualità in tutte le sue forme. Almeno fino al prossimo
scandalo.