venerdì 21 dicembre 2018

La Stampa 21.12.18
India, un treno-ospedale porta medici e chirurghi nei villaggi più remoti
di Carlo Pizzati


Quando quei sette vagoni azzurri con sopra dipinti un arcobaleno, nuvole e fiorellini sfilano quieti nella notte buia delle campagne indiane, dove elettricità ce n’è poca e quindi le stelle brillano più intense, si sente mormorare una frase in lingua hindi: «jadoo ki gaadi!», eccolo, arriva, è «il treno magico».
Lo chiamano anche il treno dei miracoli, il Lifeline Express, l’ospedale sulle ruote, una piccola meraviglia in una Paese che ne ha davvero bisogno: un treno-ospedale, i cui vagoni sono sale chirurgiche e ambulatori con macchinari moderni e squadre di medici e infermieri, che arriva direttamente nelle zone più sperdute e più lontane dagli ospedali tradizionali.
Tre giorni fa, il treno magico è arrivato a Nord dello stato di Tripura, alla stazione di Churaibari. Il primo giorno, i medici hanno già curato 400 pazienti, il secondo erano 600. Operazioni come 77 cataratte urgenti, ma anche diagnosi oncologiche, cure dentistiche, esami ginecologici.
L’idea di Zelma
Iniziò tutto in un caldo luglio del 1991, a Mumbai. Una signora molto determinata, Zelma Lazarus, che per quelle strane coincidenze del caso era stata partorita proprio in un treno, s’era messa in testa di trasformare tre vagoni abbandonati dalle Ferrovie dello Stato Indiane in un ospedale ambulante.
Non fu facile. Zelma entrò senza appuntamento al Ministero della Salute e poi nell’ufficio del ministro dei Trasporti. Fece la fila, l’anticamera, la gavetta, tutto il necessario. Si fece sbattere tante porte in faccia. Per questo oggi tutti ricordano lo slogan di questa signora che è riuscita a mettere d’accordo tutti, i ministri, i miliardari delle grandi corporation, i funzionari delle Ferrovie: «Tira su la testa. Allunga il collo. Cos’è la cosa peggiore che ti può accadere? Che ti arrivi un bel “no”. Ma “no” vuol dire semplicemente Nuova Opportunità!”.
E così, da quei tre vagoni scalcinati dove a malapena si riusciva a far operare cataratte e polio, grazie alla Impact India Foundation di cui la Lazarus è fondatrice, direttrice e amministratrice delegata, si è arrivati ora a sette vagoni con un laboratorio per le patologie, un’unità per la mammografia, un laboratorio per gli esami ginecologici, un’unità dentistica, consultori e apparecchi a raggi-X collegati via Wifi ai grandi ospedali metropolitani dove i medici possono esaminare le lastre a distanza. C’è anche un vagone ristorante per lo staff e un vagone letto con tv per il personale medico.
All’opera da trent’anni
In quasi 30 anni, le équipe del treno magico, percorrendo 200 mila chilometri, hanno eseguito 1 milione e 370 mila operazioni, curando più di un milione di pazienti in 184 distretti di 20 stati diversi. Tutto gratuito. «La nostra missione è raggiungere i poveri e gli emarginati con tutte le cure mediche possibili», spiega Zelma Lazarus. «Siamo nati da un’idea semplice: se la gente non può arrivare all’ospedale, allora l’ospedale dovrà arrivare dalla gente».
Così, il treno dei miracoli arriva nelle stazioni sperdute, dopo tre mesi di pianificazioni per ogni singolo accampamento, e si ferma dalle tre alle quattro settimane negli Stati più poveri e inaccessibili come il Bihar, Mirzapur o, appunto, Tripura, dove è stazionato in questi giorni fino a dopo l’Epifania.
«La sfida più grande viene dalla limitatezza delle nostra capacità», ammette la Lazarus. «Con il nostro LifeLine Express non siamo in grado di sostituire una postazione rurale permanente, ma riusciamo a fare ciò che il welfare state dovrebbe fare».
Con l’aiuto di sponsor come il gruppo Mahindra e il gruppo Tata, ma anche di Emirates Airlines e di enti internazionali come l’Undp, l’Oms e l’Unicef, e mentre le Indian Railways garantiscono la manutenzione, l’acqua e l’elettricità, il treno è arrivato alla sua 193ª missione. Questo Natale e Capodanno, alla stazione di Churaibari, migliaia di persone fanno la fila per entrare nei tendoni allestiti attorno ai vagoni centrali: sale d’attesa improvvisate negli accampamenti medici ambulanti, per poter entrare nel «jadoo ki gaadi» e venirne fuori forse un po’ doloranti dalle operazioni, ma per tornare presto più sani di prima. Certo, non è abbastanza, non è mai abbastanza, come chiunque abbia operato nella beneficenza in India può ben capire. Ma è già qualcosa. E con tanti qualcosa, tutto cambia.