giovedì 20 dicembre 2018

Repubblica 20.12.18
Il caso
Non solo cinema anche Rashomon diventa una serie tv
di Emiliano Morreale


In questo momento dell’evoluzione dei media, qualunque notizia viene declinata nel senso di una opposizione tra un cinema in crisi e la potenza narrativa delle nuove forme di serialità e di consumo televisivo. Sala contro Netflix, cinema d’autore o di genere contro serie "di qualità".
Il dibattito rischia di risultare così imbrigliato in opposizioni false, senza ragion d’essere. C’è dunque il rischio che in questi termini venga letta anche la recentissima notizia di un adattamento sotto forma di serie di Rashomon, il celebre film di Akira Kurosawa del 1950. L’annuncio è stato dato dalla Amblin, casa di produzione fondata da Steven Spielberg decenni fa e da tempo attiva anche nel campo delle produzioni televisive ( The Americans).
Come molti ricorderanno, il film di Kurosawa era quasi proverbiale per come raccontava lo stesso fatto di cronaca (un omicidio e uno stupro, nel Giappone del medioevo) attraverso varie testimonianze diverse tra loro, in flashback contraddittori che svelavano ognuno una propria verità. "Pirandelliano", si disse da noi, e l’effetto-Rashomon divenne proverbiale (perfino l’austero filosofo Martin Heidegger, pochi anni dopo, commentava il film in una sua conferenza). La serie tv dovrebbe essere in dieci puntate, e mostrare in ogni stagione lo stesso evento da un diverso punto di vista. Insomma, una diluizione fluviale per un film di meno di un’ora e mezza.
E per poche pagine di racconto.
Perché in realtà, va detto, Rashomon era l’adattamento di un classico della narrativa breve giapponese, Nel bosco di Ryunosuke Akutagawa; e dunque si tratterebbe sì di un remake, ma soprattutto dell’adattamento di un testo di partenza. Insomma, come una eventuale serie dal Gattopardo, che sarebbe non solo un remake di Visconti ma un nuovo adattamento di Tomasi di Lampedusa (e peraltro a lungo è stato accarezzato il progetto di un sequel televisivo del film, un Gattopardo 2 che seguisse gli ultimi capitoli del romanzo, fino al fascismo). O come Mildred Pierce, miniserie di Todd Haynes tratta da un romanzo di James Cain che aveva già ispirato un film con Barbara Stanwyck.
Ma certo per tutti noi Rashomon è Kurosawa, è il film che, con il Leone d’oro nel 1950, e poi l’Oscar per il miglior film straniero, fece conoscere il cinema giapponese nel mondo. E infatti la Amblin ha annunciato che lavorerà in collaborazione con la Fondazione Kurosawa.
Non stupisce che il meccanismo narrativo di Rashomon possa appassionare gli showrunner.
C’è da aggiungere, poi, il prestigio che ancora il brand-cinema d’autore porta per una televisione che ormai si propone non solo e non tanto come spettacolo di massa, ma come prodotto culturale ideale per un pubblico colto transnazionale potenzialmente enorme. Il cinema come bollino di glamour culturale? La serialità, d’altronde, ha ormai una sua autonomia che può fare rapidamente eclissare i modelli filmici. Quanti, oggi, dicendo Fargo si riferiscono al film dei Coen, e quanti alla fortunata serie? Quanti, dicendo Rashomon, domani penseranno a Kurosawa, e quanti alla Amblin?