giovedì 20 dicembre 2018

La Stampa 20.12.18
I due opposti archetipi di Roma
La città eterna e la grande meretrice
di Fabio Martini


Roma era ancora una giovane capitale quando, nel 1895, Giosuè Carducci la descrisse come una città «squisitamente immorale», abitata da «una borghesia di affittacamere, di coronari», «che vende di tutto, coscienza, santità, erudizione, reliquie false» e «donne vere». Un’invettiva che farà scuola, nell’opinione pubblica e tra tanti uomini di cultura: poche altre capitali al mondo suscitano tra i connazionali sentimenti così malmostosi come Roma. Ma al tempo stessa città mitizzata e sempre in bilico tra sciatteria e vocazione all’eternità. A sentimenti così contrapposti, e alla sua storia più recente, sono dedicati due libri: Roma malamata (Il Mulino, p.290, € 16) autore Vittorio Emiliani, storico e già direttore del Messaggero e Contro Roma (Laterza, p.207, euro 16) riedizione di un corrosivo volume scritto nel 1975 a più mani (la prima era di Alberto Moravia) e ora arricchito di nuovi contributi, tra i quali quelli dello scrittore Nicola Lagioia e dello storico Vittorio Vidotto.
Tempeste emotive
Atteggiamenti così contrastanti verso Roma risentono di un alternarsi di «tempeste emotive» che ne hanno segnato la storia. Quando Roma era ancora rinchiusa nel regno dei Papi, nel 1861 Camillo Benso di Cavour ne immaginò il ruolo futuro in uno dei suoi discorsi più belli: «La scelta della capitale è dettata da grandi ragioni morali», «è il sentimento dei popoli che decide» e comunque «Roma è la sola città che non abbia glorie esclusivamente municipali». Ma come osserva Emiliani, Torino, Milano, Venezia, Firenze, Napoli «erano state tutte capitali e non soltanto signorie locali» e queste forti identità peseranno subito nell’ostacolare il decollo di Roma.
Davanti alla discussione in Parlamento, se attribuire a Roma le necessarie risorse aggiuntive per svolgere il ruolo di capitale, il presidente del Consiglio, il giolittiano Alessandro Fortis, lo dirà senza infingimenti: «Si è manifestato un sentimento di quasi incosciente rivalità regionale», «un fondo d’indefinibile gelosia verso Roma». Un sentimento che si manifesta anche in occasione di un passaggio oramai dimenticato e opportunamente riproposto, anche perché attualissimo: la rinuncia di Roma alle Olimpiadi del 1908. Al barone De Coubertin piaceva l’idea della città eterna, il re Vittorio Emanuele provvide a stanziare la prima somma, ma dopo il fuoco incrociato di Milano, Torino e Firenze, l’Italia fu costretta a rinunciare.
Il fascismo
Nel 1922 Roma incontra Benito Mussolini. Il duce, con una piroetta che conferma la perenne attualità del mussolinismo, passa da uno sprezzante giudizio giovanile sulla capitale («focolare d’infezione della vita nazionale») ad una esaltazione della sua missione storica. Ma proprio la Roma capitale del fascismo diventerà «un marchio a fuoco che peserà nel futuro», osserva Emiliani, perché per reazione a quella retorica, la città sarà a lungo capitale dimessa, «quasi una succursale di palazzo Chigi a direzione democristiana».
Sui destini della capitale è sempre pesato lo sguardo severo di tanti uomini di cultura. Giuseppe Prezzolini, nel 1910, aveva definito Roma «il ritrovo di tutti gli sbafatori e fannulloni», tre anni dopo Giovanni Papini si chiede: «Chi mi darà torto se io dichiaro che Roma è stata sempre, intellettualmente parlando, una mantenuta?». E nel 1975, nella prima edizione di Contro Roma , il romanissimo Alberto Moravia scriverà: «Il popolo romano si direbbe oggi composto in prevalenza di teppisti che decapitano le statue, riempiono le strade, le piazze e i giardini di immondezza». Mario Soldati: «Roma è morte». Eugenio Montale: «A Roma tutto diventa baraccone». Nel 2018 Nicola Lagioia: « Ha cessato di evolversi, ispirandosi a Parigi. Meglio evolversi, ispirandosi a Mumbai».
Eterna o ladrona?
Naturalmente Roma nei suoi 148 anni da capitale ha trovato anche il tempo per migliorarsi. Anche grazie ad impronte memorabili. Come scrive Vittorio Vidotto, la Roma fascista rappresenta anche «una stagione straordinaria per realizzazioni e qualità architettonica», le Olimpiadi del 1960 «furono un successo politico e di immagine». L’Auditorium di Renzo Piano è diventato uno dei poli culturali più frequentati d’Europa. Le statistiche sulla criminalità e sulla vivibilità sono migliori che altrove. E grazie al carattere disincantato dei suoi abitanti (Federico Fellini lo ritrovava nel proverbiale macheccefrèga), Roma ha un carattere cosmopolita. Anche perché i romani de Roma si sono rarefatti e, come scrive Emiliani, lo restano ancora «gli esponenti di certe famiglie nobiliari e, pur falcidiati dalle deportazioni naziste, soprattutto i romani di famiglia israelita, rimasti chiusi per tre secoli nel Ghetto e radicatissimi».
Dunque, eterna o ladrona? Scrisse Pier Paolo Pasolini: «Non si piange su una città coloniale». Condanna senza appello o esortazione ad agire? Dacia Maraini, differenziandosi dai suoi severissimi amici del Contro Roma, obiettò allora ma vale anche per gli intellettuali di oggi: «La colpa è anche nostra che non ce ne occupiamo abbastanza».