Repubblica 1.12.18
Lo studente anti Xi “Ci chiamano maoisti ma dai nostri campus sfidiamo il governo per aiutare i lavoratori”
di Filippo Santelli
PECHINO
«La polizia ha portato via quindici dei miei compagni, nessuno sa dove
siano, alcuni sono spariti da tre mesi. È illegale: vogliamo che le
autorità li rilascino e che giustifichino tutto questo». Dong, lo
chiameremo così, non si aspettava una reazione così violenta. Ma quando
un gruppo di studenti delle migliori università cinesi ha raggiunto
Shenzhen per unirsi alla protesta dei dipendenti di Jasic, un’azienda di
macchinari industriali, nella mente del Partito è comparso lo spettro
più inquietante: l’alleanza tra studenti e lavoratori, come a Tienanmen.
La prima retata contro gli attivisti è arrivata ad agosto a Shenzhen.
La
seconda tre settimane fa, nei campus. Specie all’Università di Pechino,
la più prestigiosa del Paese, dove Dong studia e dove il “Gruppo di
supporto dei lavoratori Jasic” ha il suo cuore. Il ragazzo accetta il
rischio di parlar: «aspettare passivi è peggio».
Come è nato il Gruppo?
«Lo
scorso luglio, quando i dipendenti Jasic in sciopero sono stati
arrestati, circa 60 tra lavoratori e studenti di varie università cinesi
si sono organizzati spontaneamente per difendere i loro diritti. Ad
agosto siamo andati a Shenzhen per distribuire volantini, sensibilizzare
i cittadini e sporgere denuncia alle autorità. Eravamo in 40, dormivamo
in un appartamento di 4 stanze».
Perché si è unito a loro?
«Nella
mia famiglia ci sono molti lavoratori migranti (interni alla Cina,
ndr), sono molto sensibile al tema. Organizzare dei sindacati per
proteggere i diritti dei lavoratori è cruciale».
Vi definiscono maoisti.
«Non voglio parlare di ideologia.
Siamo
persone che condividono un’idea per il futuro: che tutti i lavoratori
cinesi godano di diritti e dignità, che la nostra società sia più
giusta».
Quale è stata la reazione delle autorità?
«Il 24
agosto alle 4 di notte circa 200 poliziotti hanno fatto irruzione
nell’appartamento, ci hanno caricati sulle volanti e portati in una
scuola.
Lì c’erano i nostri genitori, personale dell’università e
autorità locali. Ci hanno minacciato e chiesto di firmare dei documenti
in cui ci dichiaravamo colpevoli, promettendo di non manifestare più».
Che minacce hai ricevuto?
«Di
essere espulso. Alcuni hanno firmato, io no. Così mi hanno messo a
forza in un’auto e portato nella mia città, scortato da 11 persone.
A
casa mi hanno tolto il cellulare e vietato di lasciare la contea, una
squadra di sicurezza locale mi seguiva. Mi hanno detto di non tornare a
Pechino fino a ottobre, ma a un certo punto, quando mi hanno ridato il
telefono, sono scappato e venuto qui per riprendere i corsi».
Conosce Yue Xin e Gu Jiayue?
«Sono
neolaureati dell’Università di Pechino. Conosco bene Yue: è sparita dal
24 agosto, oltre tre mesi. Neppure sua madre sa dove si trovi o come
stia. Gu invece dovrebbe essere detenuto nel Guangzhou. Pare che abbia
degli avvocati, ma non lo hanno fatto vedere neanche a loro».
Nelle settimane successive molti studenti-attivisti, tra cui Zhang Shengye, hanno continuato a chiederne il rilascio.
Poi il 9 novembre che cosa è successo?
«Io
non c’ero, ma ho parlato con dei testimoni. Verso le 22.30 alcuni
studenti stavano uscendo da un caffè, all’improvviso una dozzina di
persone molto grosse, con maschere e cappellini, li ha circondati. Un
ragazzo è stato buttato per terra e colpito in testa, un altro preso per
sbaglio buttato giù dalla macchina. Chi cercava di fare delle foto è
stato minacciato o picchiato. Da allora Zhang non si sa dove sia. Le
auto avevano le targhe coperte, sono entrate e uscite dal campus senza
difficoltà».
Che cosa significa?
«Che avevano il supporto
dell’università. Sono molto arrabbiato: non abbiamo violato la legge o
danneggiato persone, e l’università ci colpisce».
Quante sono le persone del Gruppo detenute?
«Abbiamo
perso contatto con 31 tra studenti e lavoratori, gli studenti sono 15.
Sono scomparsi i neolaureati, quelli in corso come me sono tutti tornati
al campus».
Vi controllano? Il Gruppo si è sciolto?
«Io ho
ripreso a studiare, devo incontrare di tanto in tanto personale
dell’università e ricevo spesso loro chiamate. Ad altri hanno detto che
sanno tutto, dove vanno e cosa fanno. Ma c’è un sito web che viene
aggiornato. E se necessario anche io parteciperò».
Gli altri studenti vi appoggiano?
«La
maggior parte conosce questa storia e esprime simpatia per gli studenti
portati via. Dai discorsi che faccio delusione e rabbia sono diffuse.
Finora non ci sono state proteste pubbliche, ma se la situazione resta
così potrebbero esserci».
Ha paura?
«Sono arrabbiato. Tutto
questo è illegale, un oltraggio. Sono preoccupato per gli studenti
arrestati, ma credo che esporre le loro sofferenze e i misfatti delle
autorità sia meglio che aspettare passivi».
Che cosa chiede?
«Che abbiano supporto legale e che siano rilasciati il prima possibile. Le autorità devono giustificare quello che hanno fatto».