Repubblica 19.12.18
Miti
La "Teogonia" di Esiodo
Nel canto delle Muse la memoria del futuro
di Pietro Citati
Nella
letteratura greca, si procede sempre più indietro: si va sempre più
lontano, talvolta verso una meta irraggiungibile. Dov’è il principio?
Dov’è l’inizio?
Non sappiamo mai esattamente se la Teogonia
preceda o no le parti più antiche dell’Iliade. In tutti i casi c’è una
relazione orale o semiorale.
Probabilmente la Teogonia (di cui
grazie a Gabriella Ricciardelli ha appena pubblicato un’eccellente
edizione, la Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori) è anteriore alla parte
più antica dell’Iliade. Sta lì, sola, in vetta alla poesia greca: ma le
date sono sensibilmente incerte.
Di una cosa siamo quasi sicuri.
Esiodo
era un poeta totale: più di Omero o addirittura di Virgilio o Dante; e
la sua meta principale era quella di indicare dei nomi e di stabilire
una successione di idee e di sensazioni. Era pastore, marinaio e poeta.
Come allora quasi tutti, partecipava a gare: e probabilmente proprio con
la Teogonia vinse un premio di grande importanza.
Esiodo era «colui che si rallegra del viaggio»: il preciso significato del suo nome.
Esiodo
era un poeta metafisico (assai più di Omero): una specie di identità
collettiva, che coincideva con le Muse; e il suo compito principale era
quello di raccontare l’incessante divenire delle cose.
Ecco, qui,
le cose si muovono, cambiano, si trasformano: persino gli dèi che, per
alcuni, dovrebbero restare fermi e fissi come quelli della Cina.
Esiodo
cerca il nascosto cioè le etimologie. Non sappiamo esattamente cosa
abbia scritto, sebbene alcuni studiosi gli attribuiscono una produzione
immensa: come una specie di super-Omero. Le sue pretese sono immense.
Vuole far dimenticare i dolori: esaltare l’oblio. Vuole conquistare la
grandezza: a volte più dell’autore dell’Iliade; ma grandezza è anche
danza, luce, caos, splendore. E se ambisce possedere la verità, questa
verità è ricca, ambigua e gioca continuamente con se stessa, perché è
anche contemporaneamente, una non verità. Nulla è più complicato. Vuole
la verità, ma anche il suo contrario, alla caccia inesorabile di quel
segreto che desidera scoprire. In qualcosa è simile a Ulisse: è il
signore della metamorfosi. Canta il futuro e il passato, assai più del
presente.
Conquistare la verità significa glorificare – parola
essenziale della poesia antica. Ama il tempo: lo spessore, il rilievo,
la fissità del tempo; e con la stessa forza con cui cerca il vero,
apprende cose molto più terribili: il Caos e lo Stige. Ma disegna anche
deliziose figure femminili: o, se è necessario, si abbandona a una
violenza scatenata. In fondo ai suoi desideri c’è Eros: anche ordine,
struttura, sebbene a volte sia così frivolo da giocare con gli eventi
del mondo.
Non è sterile. La Memoria, accoppiata con Zeus, genera
le Muse, tra cui specialmente Calliope. Le qualità delle Muse sono
infinite.
Figlie di Zeus, generano l’oblio: si identificano con l’acqua: dando gioia e allegria e letizia a tutto l’Olimpo.
Le
Muse sono acqua. Se accettiamo una mitologia discussa, esse sono le
"ninfe dei monti"; e attorno alla loro voce tutto scivola, si gonfia,
scorre, danza con piedi delicati attorno ad una fontana o alle rive dei
ruscelli o del mare. Le Muse non sono legate all’acqua sterile delle
piogge, ma a quella, primordiale, molteplice, feconda, oracolare
dell’Oceano che rinasce in tutte le sorgenti, tutti i fiumi, tutti i
pozzi.
Così comprendiamo perché la poesia, specialmente in Esiodo e
Pindaro sia una sostanza liquida. Le Muse versano sulla lingua del
re-poeta una "dolce rugiada": dalla loro bocca sgorgano "dolci parole". I
poeti sono come le api.
Le Muse sono figlie di Mnemosine.
Esse
non hanno la nostra memoria, piena di lacune, di intermittenze, di
fratture, di strazi. Posseggono un immenso tesoro di conoscenza:
conoscono la vita e la morte degli eroi, tutte le pietre della
cittadella di Troia, tutti gli eroi che sono andati a combattere a
Troia, tutti i granelli di sabbia dell’Ellesponto, tutti i pensieri che
attraversano lo spirito di Achille e di Ulisse e anche i pensieri degli
dèi. Sanno ogni cosa con la precisione meticolosa che solo posseggono i
veggenti. Erano presenti quando i fatti si sono prodotti: erano là
visibili o dissimulati, quando Telemaco fece vela verso Pilo o Ulisse
massacrò i pretendenti, o Zeus si unì con Era, come un grande occhio
largamente aperto sul mondo. Quando Omero o Esiodo cantano, dopo aver
invocato le Muse, tutto è qui davanti a noi.
Le Muse hanno la
memoria del futuro. Il vero è semplicemente ciò che non è nascosto, ciò
che non è velato dall’oblio e dal sonno. Così le Muse, secondo Esiodo,
dicono «ciò che è, ciò che sarà, ciò che è stato». Il canto che le Muse
ispirano ai poeti porta la gloria: la gloria che non si perde mai. Gli
eroi e i poeti attendono avidamente questa gloria: non vivono che per
essa.
Non è facile obbedire alle Muse, appunto perché il sapere
delle Muse è infinito, e occupa il presente, il passato e l’avvenire.
Quando Omero inizia la lista dei capi greci e troiani, le Muse
potrebbero ricordargli tutti i nomi della moltitudine che avanza e in
ordine di battaglia, numerosi come i grani di sabbia dell’Ellesponto.
Sarebbe un compito immenso, cui Omero, con le sue sole forze, non
potrebbe venire a capo, anche se avesse dieci lingue, dieci bocche, una
voce infaticabile e un cuore forte come il bronzo.