La Stampa 19.12.18
Falso Natale
Befana e Babbo, bue e asinello Quante fake news sulla festa
di Federico Taddia
Non
voglio guastare le feste a nessuno. Anzi, il contrario: voglio
dimostrare che lo spirito del Natale ha in sé qualcosa di eterno, di
intramontabile. Di tradizioni ce n’è un bisogno assoluto: ne abbiamo
così fame che spesso le inventiamo, le facciamo nostre, dimenticando le
loro origini reali». Sorride, quasi si giustifica, Errico Buonanno,
scrittore e saggista, autore di “Falso Natale”, una puntuale inchiesta
sulle tante fake news che troviamo sotto l’albero. Certezze assodate
dalla consuetudine e che invece si portano con sé continue e variabili
contaminazioni tra storia, religione e cultura popolare. Come per
esempio la data per eccellenza, il compleanno di Gesù, il 25 dicembre:
giornata presa in prestito da precedenti riti pagani e appositamente
riadattata per l’occasione. O la coppia bue e asinello nella stalla:
immagine sedimentata in ognuno di noi, ma non supportata da alcuna
scrittura. La colpa, o il merito, è di un semplice refuso, un errore di
traduzione dal greco di un copista. E la stella cometa? Un’invenzione
pure quella, partorita dell’estro creativo di Giotto: il primo a
disegnare sulla mangiatoia un astro abbellito dalla coda. «Le tradizioni
nascono così: a volte per distrazione, a volte per creatività, altre
volte ancora per volontà politica. Sovente sono un’evoluzione di una
tradizione precedente: ci si appoggia a qualcosa che già c’è, ma gli si
dà un nuovo significato. Come San Nicola, che nulla aveva a che fare con
il Natale, ma quando il suo culto si è esteso al Nord la sua figura si è
fusa con quella del mito di Odino - che nella tradizione nordica
portava i regali - e con quella di Father Christmas, figura che
rappresentava lo spirito natalizio. Da questo ibrido nasce una sorta di
Santa Claus cattolico, contestato dai protestanti che sostenevano che i
regali li dovesse portare Gesù bambino. Insomma, rivendicare la propria
identità basandosi sulle tradizioni può essere rischioso”. E lo stesso
Natale, così come lo conosciamo, con i regali, le luci e i buoni
sentimenti è un qualcosa sorto come risposta a chi il Natale non lo
voleva più celebrare. «Pochi sanno che furono proprio i religiosi ad
abolire il Natale - spiega Buonanno - Nel 1644, infatti, i Puritani
inglesi proibirono espressamente il Natale, cosa che si estese subito in
America, perché era una festa non prevista dalle scritture. Le
festività furono nuovamente ufficializzate nel 1856, di fatto modellate
da Charles Dickens con Il canto di Natale. I doni, la famiglia, i
sentimenti, il calore: quelli che oggi sono considerati valori
tradizionali sono stati tutti forgiati dalla sua fantasia». Tra i grandi
miti sfatati anche quello dei Magi: nessuno ha mai dimostrato che
fossero tre e, soprattutto, che fossero dei Re. Oppure quello
dell’albero addobbato, simbolo indiscusso del periodo: l’usanza è di
origine tedesca e fu importata in Italia dalla Regina Margerita di
Savoia, meno di due secoli fa. A differenza dello prassi dello scambio
degli auguri, che altro non è che una rivisitazione moderna degli
auspici degli antichi Àuguri, sacerdoti dell’antica Roma capaci di
interpretare il volere degli dei. Così come la dea Diana, con il suo
passaggio di casa in casa offrendo prosperità in cambio di qualche
piccola offerta, assomiglia tanto alla befana, anche questo un
personaggio perfetto per essere inglobato dalla religione e abbinato
alla festività dell’Epifania. «Il paganesimo è ancora dentro di noi, è
intriso nei nostri simboli e gesti – conclude Buonanno – Non è però
falso che il Natale sia per tutti, credenti e non credenti, una festa di
speranza e di rinascita. E questo non può essere rimosso da alcuna fake
news».
Il presepe di sabbia esposto in piazza San
Pietro: il bue e l’asinello accanto alla mangiatoia sono frutto di una
traduzione sbagliata dal greco, che confondeva «epoche» con «bestie».
2. Il Babbo Natale come noi lo conosciamo nasce da un’iconografia americana Anni Trenta della pubblicità della Coca Cola.
3. Un’immagine del film 2009 di Robert Zemekis (Disney) tratto dal famoso racconto «A Christmas Carol» di Dickens.
4. Un antico biglietto di auguri: la tradizione di scambiarseli risale all’era vittoriana.
5.
L’albero di Natale come noi lo conosciamo venne inventato nella seconda
metà dell’800 dalla Regina Vittoria, qui in un'immagine insieme al
marito il Principe Alberto.
6. La «Diana di Versailles»,
un’immagine della dea cacciatrice di epoca romana: la tradizione della
Befana viene fatta risalire a lei.
Viene dal culto pagano del Sole Invitto
Nessun
Vangelo indica il compleanno di Gesù. Solo a partire dal IV secolo dopo
Cristo, e unicamente nella città di Roma, si iniziò a festeggiare il 25
dicembre, poiché in quella data già si celebrava il Natale del Sole
Invitto. Un culto pagano di un dio Sole, che per i cristiani ben si
sposava con la nascita del Salvatore. E pure l’anno 1 non è quello che
crediamo: fu un monaco scita di nome Dionigi il Piccolo che, nel 525,
decise che bisognava iniziare a contare gli anni dalla nascita di Gesù.
Ma sbagliò i suoi calcoli e attualmente siamo almeno nel 2022.
La inventò Giotto osservando Halley
Nel
Vangelo di Matteo si parla di una stella, luminosa come veniva
rappresentata in ogni natività nei primi secoli e in tutto il Medioevo,
ma non c’è nessun riferimento al fatto che fosse una cometa. E visto
che, almeno fino al XVII questi corpi celesti erano visti come segnali
di prodigi certi, pare strano che possa aver omesso il dettaglio. Il
primo ad aver inserito la stella cometa è stato Giotto, affrescando la
Cappella degli Scrovegni a Padova tra il 1303 e il 1305. Probabilmente
ispirato dal passaggio nel 1301 di un bolide, ribattezzato poi secoli
dopo con il nome di Cometa di Halley.
Attenzione Santa Claus è un misogino
di Massimo Vincenzi
È
talmente arrabbiata che non a caso alla fine dei divertimenti tutte le
Feste porta via, come recita la storica filastrocca. Ora arriva nelle
sale il film con Paola Cortellesi protagonista nei panni della Befana -
«La Befana vien di notte», appunto - . Una Befana furiosa contro il suo
peggior nemico: Babbo Natale. Tanto da lanciargli, nell’era del
politicamente corretto, l’offesa più infamante: è un misogino.
Senza
spoilerare il film, le accuse sono pesanti: lui viaggia su una lussuosa
e comoda slitta, maestose renne lo fanno sfrecciare nei cieli senza
alcuna fatica e la sua immagine pubblica è infinitamente più forte di
quella della Befana. Negli spot lei è assente, mentre non c’è panettone o
giocattolo che non veda protagonista il Rosso Barbuto, non a caso
sempre sorridente.
Per non parlare del cinema, dove il confronto
non esiste nemmeno: meglio che l’anziana signora non scenda neanche in
campo. L’unica sfida è su canzoni e musiche varie dove c’è quasi il
pareggio.
Per forza la Befana oppone alla sorte un ghigno da
vecchia arrabbiata dal brutto carattere e, nell’era dell’apparire, dal
pessimo look. Straccio sulla testa che serve a distinguerla dalle
fattucchiere, stesso motivo per cui cavalca la scopa al contrario di
come fanno loro. Meglio non correre rischi, in tempi di caccia alle
streghe.
La tradizione parte dal Sud Italia e, cambiando il nome,
vola nei cieli di tutta Europa sempre con lo stesso rito: caramelle ai
bambini buoni e carbone a quelli che sono stati capricciosi durante
l’anno.
Il feticcio è la calza, secondo il sociologo Marino Niola
il vero timbro di fabbrica che evita alla Befana l’oblio e la strappa da
quel ghigno incartapecorito un sorriso sghembo. Altrimenti non le resta
che appellarsi ai social, dove due gruppi non proprio la sostengono ma
la incoraggiano: «Santa Claus deve essere donna» con due membri (meglio
che niente) e «Santa Claus sia donna» più consistente (undici adesioni).
Poca cosa ma da qui potrebbe partire il riscatto.