venerdì 14 dicembre 2018

Repubblica 14.12.18
E ora si apre uno scenario stile Tsipras
di Stefano Folli


Qualcosa è cambiato nelle ultime ore. In un certo senso si è aperto nel nostro paese lo scenario Tsipras: dal nome del premier greco che cominciò da incendiario, contestatore frontale delle regole europee, e adesso governa nel segno dell’ortodossia. Come si ricorderà, la trasformazione avvenne a cavallo di un referendum, convocato per dire “no” alle richieste dell’Unione, stravinto su tale presupposto, ma in seguito completamente disatteso da chi lo aveva indetto in cerca di un alibi.
Non siamo a quel punto e la coppia Salvini-Di Maio ha ancora un tratto di strada da fare prima di tramutarsi nella versione nostrana del trasformista di Atene. Tuttavia il punto di non ritorno è stato sfiorato quando il presidente del Consiglio ha accettato di fissare il deficit al 2 per cento (in verità 2,04, un dettaglio su cui si ironizza senza risparmio) presentandolo come un gran successo.
Questo “compromesso tra due debolezze”, come lo ha definito Romano Prodi — la debolezza del governo italiano e quella della Commissione Juncker — è un atto di realismo, ma anche l’addio alla velleità giallo-verde di rappresentare un’alternativa radicale, anzi quasi rivoluzionaria, all’Europa di Angela Merkel o, se si vuole, del vecchio patto privilegiato franco-tedesco.
Ciò non significa che l’assetto dell’Unione sia oggi solido come ai tempi d’oro. Al contrario, l’Europa anti-nazionalista ha subito di recente vari colpi che hanno incrinato le vecchie certezze. I disordini in Francia si sono rivelati più seri del previsto, al punto che potrebbero proseguire anche dopo il discorso molto cedevole del presidente Macron: ed è un segnale che nessuno può sottovalutare. Peraltro, per quanto fragile, l’Europa è ancora in grado di obbligare Salvini e Di Maio a smentire se stessi sulla manovra. E lo fa proclamando non senza brutalità, vedi Moscovici, che l’Italia è diversa dalla Francia e non può aspettarsi lo stesso trattamento riservato a Parigi. Che sia un errore politico esaltare questa disparità, è un pensiero che non lo tocca.
In ogni caso, il risultato del braccio di ferro con l’Unione è un’Italia che torna a discutere di decimali proprio come accadeva con i governi del passato. La novità giallo-verde, che avrebbe dovuto ribaltare tutto e puntare alla crescita economica, si è arenata proprio quando gli indici indicano un inizio di recessione. In base alla retorica “sovranista” qui sarebbe dovuta partire la sfida finale al modello europeo, compresa la moneta unica. Viceversa Salvini tace, lasciando che sia Di Maio a esporsi in favore di Conte, e va ad Atene a veder giocare il Milan. Anche questo fa parte del “percorso Tsipras”: riposte le velleità rivoluzionarie, si cerca il modo di stare nell’Unione in attesa che dalle elezioni, chissà, emerga un equilibrio meno sfavorevole ai nazionalisti.
Per Salvini è più agevole procedere a questa conversione perché i suoi elettori non sono, o non sono più, ostili all’Europa: invece sono sensibili ai temi dell’immigrazione e della sicurezza in stile “legge e ordine”. Per Di Maio invece fare il “governativo” è un’impresa complicata. Può riuscirci fintanto che non si scoprirà il mezzo “bluff” del reddito di cittadinanza, quasi impossibile con le scarse risorse a disposizione. Per questo egli si difende e difende Conte con decisione. Ma l’ora della verità si avvicina. Forse non è un caso che dall’America Latina Di Battista abbia riesumato i toni da barricata. Fino all’elogio dannunziano dei “gilet gialli” e della loro estetica sovversiva. Una tenaglia pensata per soffocare un passo alla volta l’ala ministeriale.