venerdì 14 dicembre 2018

Repubblica 14.12.18
Intervista ad Ana Brnabi, premier serba
“Il Kosovo rinunci all’esercito, minaccia la pace nei Balcani”
di Andrea Tarquini


«L’annuncio di Pristina di creare un suo esercito è la maggiore singola minaccia alla pace nei Balcani». Ce lo dice la premier serba Ana Brnabi?.
Come risponde la Serbia alle iniziative del Kosovo?
«Per noi la stabilità regionale è premessa di pace ma anche di prosperità economica. Abbiamo fatto molto negli ultimi 4 anni, specie sotto Vucic. Crescita al 4,5% nei primi 10 mesi, disoccupazione ai minimi record, debito pubblico al 56% del pil. Ma senza stabilità regionale non svilupperemo il nostro potenziale. Siamo pragmatici, cerchiamo un compromesso. Il presidente ha iniziato un dialogo con Pristina, che però ha alzato al 100% i dazi sull’import serbo e bosniaco. Siamo molto grati che Ue, Usa, Onu abbiano condannato questo passo: danneggia in Kosovo sia gli albanesi per tenore di vita sia i serbi quanto a diritti umani. Spero che prevalga la ragione e che il dialogo continui».
Oggi Pristina vota per creare un suo esercito, come reagite?
«Questo annuncio è la maggiore singola minaccia alla pace nei Balcani, e ci preoccupa estremamente. Un esercito del Kosovo non violerebbe solo tutti gli accordi internazionali, ma la stessa Costituzione del Kosovo. Spero che prevalga la ragione e, insisto, sono molto grata a Ue e Nato per le prese di posizione, come quella del segretario generale Stoltenberg: avrebbe conseguenze per l’integrazione euro-atlantica, ha detto. Occorre l’impegno di tutti i nostri partner per soluzioni pacifiche. Haradinaj (premier kosovaro, ndr) ha detto che l’esercito del Kosovo servirebbe per difendere l’Iraq, è ridicolo. Faccio appello a Haradinaj, Thaci e Veselj (premier presidente e presidente del Parlamento, ndr) a ripensarci».
Pace o compromesso con scambi di territori?
«Dopo questo enorme passo indietro è molto difficile pensare a negoziati. Ne siamo così lontani da doverci concentrare sui diritti umani. Le feste si avvicinano e i serbi del Kosovo affrontano penuria di alimentari, riscaldamento e medicine. E in Europa, nel 21mo secolo, dal 21 novembre non possono leggere media nella loro lingua. Pristina sta silurando tutte le intese del processo di pace di Berlino, tornano alle pericolose abitudini del 19mo secolo. Spero che ci ripensino».
Pace vuol dire con o senza riconoscimento reciproco?
«La Serbia vuole una normalizzazione, un compromesso. La richiesta di Pristina di riconoscere l’indipendenza è un ultimatum. Non accadrà mai.
Devono sforzarsi di capire anche la posizione serba. Modifiche di frontiera non aprirebbero il vaso di Pandora: fu già aperto dieci anni fa con la decisione unilaterale di Pristina (indipendenza) presa senza referendum. Il Kosovo non è mai stato come Croazia, Bosnia, Slovenia, Montenegro, non era una repubblica yugoslava, è sempre stato parte della Serbia. Le frontiere si possono rivedere ma non secondo linee etniche: la Serbia è il paese più multietnico d’Europa con oltre 15 lingue ufficiali. Occorrono leader coraggiosi, capaci anche di prendere decisioni impopolari a casa. Vucic vuole negoziare, nonostante 80 serbi su cento siano contro. Senza coraggio la pace resterà fragile».
La situazione rischia di andare fuori controllo?
«Siamo preoccupati dalle decisioni unilaterali di Pristina sui dazi e sull’esercito. Gioco pericoloso: basta un piccolo incidente per accendere un incendio».
Come vanno le relazioni col nuovo governo italiano?
«L’Italia é uno tra i nostri partner strategici. Siamo molto soddisfatti della disapprovazione italiana per le decisioni di Pristina. Abbiamo bisogno di partner cosí affidabili».
La Serbia è criticata per la politica verso i media e invitata a fare di più per la loro libertà, cosa risponde?
«La libertà dei media è centrale in ogni moderna democrazia e la critica costruttiva dei media è il miglior correttivo per ogni governo. La mia opinione è che i media serbi sono liberi e possono criticarci».