giovedì 13 dicembre 2018

Repubblica 13.12.18
Intervista a Massimo D’Alema
"Il ministro è andato alla parata di Netanyahu contro i militari italiani"
di Maria Berlinguer

ROMA Massimo D’Alema, ex premier ed ex ministro degli Esteri. Gli Hezbollah sono terroristi islamici come dice Salvini?
«Sembra una definizione superficiale, anzitutto perché per terrorismo islamico noi intendiamo organizzazioni di matrice salafita o wahabita, noi conosciamo Isis e Al qaeda, mentre Hezbollah è una forza che contrasta vivamente questi movimenti e che concorse in modo molto rilevante a combattere lo Stato islamico.
Forse Salvini dovrebbe approfondire la conoscenza di questo mondo complicato.
Sicuramente Hezbollah è un partito armato, ma fa parte della vita democratica libanese e ha un’ampia rappresentanza in Parlamento e di tanto in tanto anche al governo. Quindi, definirlo un gruppo terroristico è superficiale dal punto di vista culturale e politicamente è del tutto improduttivo».
Le parole di Salvini mettono a rischio la missione Unifil e i nostri soldati? Ha ragione il ministro della Difesa?
«Ha ragione il Ministro della Difesa a prendere le distanze da questa considerazione, anche perché a differenza di Salvini, parla con cognizione di causa.
Ma la cosa che mi colpisce di più è che Netanyahu ha coinvolto impropriamente Salvini in una manifestazione di propaganda.
Questa manifestazione aveva come scopo esercitare una pressione critica verso il modo in cui Unifl svolge il proprio ruolo. Tant’è che dopo questa parata propagandistica Netanyahu ha detto a Salvini che i militari italiani devono combattere Hezbollah, cosa che non fa parte del mandato delle Nazioni Unite. Quello che trovo inaccettabile per un Ministro della Repubblica Italiana, che dice "Prima gli italiani" è il non rendersi conto di andare ad una manifestazione contro i militari italiani. Mi sembra un dovere elementare, per uno che va al confine tra Israele e Libano che da dodici anni è presidiato dalle forze armate italiane, informarsi con loro di cosa pensano della situazione di quel confine anziché andare a fare il portavoce della posizione di Netanyahu».
C’era lei alla Farnesina quando fu decisa la missione
internazionale. Il bilancio?
«D’intesa con la Ue e gli Usa, quando scoppiò nell’estate del 2006 il conflitto tra Israele e Libano causato da una una provocazione militare di Helzbollah seguita da una reazione molto pesante, l’Italia prese l’iniziativa per cercare di promuovere la pace in quella regione. Questo fu uno dei maggiori successi politici dell’Italia, che per la prima volta ha avuto il comando di una missione internazionale di questo rilievo dal dopoguerra».
Oggi Salvini si è detto favorevole a Gerusalemme capitale, come Trump e Orban.
« Gerusalemme è una città in parte occupata da Israele e le Nazioni Unite e l’Unione europea chiedono a Israele di ritrarsi dai territori occupati con la guerra del ’67 e questo vuol dire anche da una parte di Gerusalemme. Quindi, l’annessione di Gerusalemme da parte di Israele è atto contrario al diritto internazionale, fortemente lesivo della sensibilità dell’intero mondo arabo. Non credo ragionevole che l’Italia si unisca al riconoscimento di questa annessione».
All’epoca destò scalpore la sua foto a Beirut con un
esponente di Hezbollah.
Rifarebbe quella passeggiata?
«Quella fotografia fu scattata il giorno in cui il conflitto cessò.
Nelle due ore precedenti alla fine del conflitto ci fu un bombardamento nel quartiere sciita di Beirut e quando io arrivai, accolto dal Ministro degli esteri del governo libanese, con il quale noi negoziavamo la tregua, andai a visitare i quartieri colpiti dai bombardamenti. Chi si impegna per la pace deve essere vicino alle vittime della guerra.
Essendo noi i mediatori per la pace era impensabile non avere un rapporto con le autorità di governo di quel Paese democraticamente elette dai cittadini. La visita ad un quartiere bombardato dove le persone cercano tra le macerie i propri cari è difficilmente definibile "passeggiata" e spero che non debba più ricapitarmi».
Haaretz scrive che Israele di Netanyahu è diventato una fabbrica di certificati di perdono per i nazionalisti di tutto il mondo.
«Colpisce molto che l’attuale leadership israeliana sia diventata il punto di riferimento di tutta la destra del mondo che, peraltro, credo sia qualcosa che non appartenga alla tradizione di Israele. Io penso che anche l’esasperazione delle tensioni in cui si impegna Netanyahu ha un’altra ragione: distogliere l’opinione pubblica israeliana dagli scandali, dalle accuse di corruzione che sono state rivolte contro di lui, non dai terroristi islamici ma dalla polizia del suo paese. A maggior ragione sarei cauto nell’andare a spalleggiarlo perché in questo momento si tratta di un governo che è particolarmente in discussione col suo paese».