Il Fatto 13.12.18
Gli orfani di Matteo e la nuova Cosa: Renzi en marche
di Silvia Truzzi
Non
sono più i suoi, Renzi li ha mollati. La sceneggiatura di quello
psicodramma altrimenti noto come Partito democratico si arricchisce
tutti i giorni di dettagli comici. Mentre i renziani in cerca d’autore
mostrano imbarazzanti segni della sindrome da abbandono (l’immagine più
emblematica, Giachetti e Ascani sul divano), l’ex segretario è alle
prese con una discesa in campo all’incontrario – prima la politica, poi
la tv – e si prepara al grande appuntamento mediatico: il suo
documentario artistico che andrà in onda sabato su Discovery, dopo una
sceneggiata su Scherzi a parte, più finta di una banconota del Monopoli.
Siccome non c’è distinzione tra i due piani, la letterina settimanale
che normalmente contiene i pensierini della sera sulla situazione
politica, va benissimo per lanciare il “progetto televisivo”. Renzi in
purezza: “Ci ho messo il cuore e credo che in tempi di barbarie sia un
dovere civile parlare di bellezza” (Salvini). “E parleremo di tutto:
della Madonna del Cardellino, della mafia ai Georgofili” (Berlusconi?).
Del “Michelangelo giovane e di quello vecchio, della congiura dei Pazzi”
(Pd?). “Ma a un certo punto, dalla meravigliosa San Miniato, parleremo
anche di Farinata degli Uberti, che insegna a tutti l’orgoglio e la
nobiltà di parlare a viso aperto” (l’argomento preferito di Renzi:
Matteo Renzi). E siccome il senso del limite (o del ridicolo?) è merce
rara, il paragone con il personaggio a cui Dante rende omaggio nella
Commedia è servito: “Io ho molti difetti e limiti, come tutti e più di
tutti. Ma certo non mi si può dire che non ami parlare a viso aperto”.
Certo qualche errore, visti gli slavaccioni elettorali presi in serie,
bisogna pur ammetterlo. Ma sempre nella modalità di quelli che alla
domanda “qual è il tuo peggior difetto?”, rispondono: “Essere troppo
buono”. E dunque: “Il mio errore più grande è stato non ribaltare il
partito. Non entrarci con il lanciafiamme come ci eravamo detti”.
Cattivoni. “In alcuni casi il Pd ha funzionato, in altre zone è rimasto
un partito di correnti. Ritengo che le correnti siano il male del
partito. E ho sempre spiegato che non mi sarei mai prestato a fare la
mia corrente. Sono stato, sono e rimango di parola: le correnti avevano
un senso nel partito novecentesco, non oggi. E le correnti nel Pd sono
state la causa di un rinnovamento meno forte di ciò che sarebbe servito.
Quando i giornali scrivono ‘la corrente dei renziani’ mentono sapendo
di mentire”.
A breve, dopo il documentario, Renzi farà una web tv
per combattere le fake news, pubblicherà un libro (manca solo un
chiringuito sulla spiaggia) e tra un impegno e l’altro probabilmente
lancerà il suo partito, la nuova Cosa. Gli scudieri prescelti sono i non
ingombranti Scalfarotto e Gozi, già impegnati nella fondazione dei
comitati civici (una supercazzola che nessuno ha capito a cosa servano).
Tutti gli altri, eccetto forse la zarina riformatrice Boschi,
#stannosereni: oltre al duo del divano, Andrea Marcucci, Alessia Morani,
Emanuele Fiano, Simona Malpezzi, Gianluigi Marattin, Stefano Ceccanti,
Andrea Romano e Lorenzo Guerini delegato a trattare con Martina (con
questi non vinceremo mai, 2.0). Viste le premesse, il congresso di marzo
si annuncia come una gigantesca liquidazione fallimentare. Senza Renzi,
che per l’epoca si sarà già sfilato per godersi lo spettacolo degli ex
amici che si scannano per quella manciata di voti che restano alla
sedicente sinistra. La gioiosa macchina da guerra di Matteo R. è en
marche. Con la felpa sotto il gilet giallo, Salvini ringrazia.