il manifesto 13.12.18
«Papiro di Artemidoro». Un falso geniale che interroga il presente
Querelle
storiche . Luciano Canfora ribadisce i motivi per cui ha sempre
ritenuto fosse una truffa. La Procura di Torino conferma. «La datazione
degli inchiostri è solo l’ultimo tassello di un quadro già chiarissimo.
Le parole che vi figurano non sono presenti in alcun dizionario»
di Valentina Porcheddu
A
breve distanza dalla polemica con il ministro degli interni Matteo
Salvini concernente l’operazione contro la mafia nigeriana e a pochi
giorni dal suo pensionamento, il procuratore di Torino Armando Spataro
torna all’onore delle cronache. Ma questa volta nessun tweet potrà
inficiare l’esito dell’inchiesta. Ad essere coinvolto, infatti, è il
«reperto» noto come Papiro di Artemidoro, ritenuto falso dalla
magistratura.
NEL 2004, il documento – presentato come il II libro
dei perduti Geographoumena di Artemidoro di Efeso (II-I secolo a.C.) –
venne venduto alla Fondazione per l’arte della Compagnia di San Paolo da
Serop Simonian, gallerista di origine armena trapiantato ad Amburgo.
L’esorbitante cifra di 2 milioni e 750 mila euro sborsata dalla
Fondazione è la più alta mai raggiunta al mondo per l’acquisto di un
papiro.
Malgrado il reato di truffa sia andato in prescrizione, la
«sentenza» della Procura di Torino mette fine alla querelle tra i
difensori dell’antichità dell’oggetto (in particolare Claudio Gallazzi,
Bärbel Kramer e Salvatore Settis) e Luciano Canfora, che nel 2013
presentò un esposto e per il quale il papiro sarebbe l’opera di
Constantinos Simonidis, falsario del XIX secolo formatosi tra le
pergamene del Monte Athos, dove suo zio era igumeno. La prova
fondamentale per l’archiviazione delle indagini è stato il risultato di
una perizia disposta di recente dal Ministero dei Beni Culturali sugli
inchiostri utilizzati per tracciare il papiro, che risultano di epoca
moderna. Gli esami chimici, richiesti a suo tempo da Canfora, avrebbero
potuto dissolvere fin da subito i dubbi sull’autenticità di un papiro
lungo due metri e mezzo e composto da frammenti eterogenei, in cui a un
bizzarro parallelo tra geografia e filosofia si aggiungono disegni di
parti anatomiche e animali fantastici.
«LA DATAZIONE degli
inchiostri è solo l’ultimo tassello di un quadro già chiarissimo», dice
Canfora al Manifesto. «A mio avviso le analisi storiche, geografiche e
linguistiche del papiro – continua l’autore de La meravigliosa storia
del falso Artemidoro (Sellerio 2011) – hanno un valore decisamente più
importante. Per fare solo un esempio, l’ultima edizione del prestigioso
dizionario dal greco all’inglese Liddell & Scott non contiene
nessuna delle parole che figurano per la prima volta nel cosiddetto
papiro di Artemidoro. Questi lemmi assurdi non compaiono neanche nella
versione più aggiornata del vocabolario greco-italiano edito dalla
Lœscher, seppur il testo del presunto Artemidoro venga citato fra le
fonti del volume». Per quanto riguarda i disegni visibili nel recto del
papiro, Canfora è convinto siano stati realizzati ad hoc da Simonidis,
che nel monastero del Monte Athos aveva potuto copiare uno di quei
manuali di disegno in voga tra Seicento e Settecento. «Nel verso –
spiega Canfora – c’è invece una serie di animali divisi per categorie e
sotto alcuni si trova una didascalia redatta in un greco strampalato.
Questa parte ‘animalesca’ non ha senso, se non ipotizzando che il
falsario abbia voluto dimostrare con essa l’unità di un papiro composto
di varie parti».
LE VELLEITÀ della Compagnia di San Paolo di
possedere un oggetto unico – il geografo Artemidoro di Efeso è
conosciuto soltanto attraverso fonti indirette – da esporre al Museo
Egizio ha dunque prevalso sul rigore filologico e i tanti indizi, fra
cui vanno annoverate le sospette autorizzazioni ad esportare il
documento dall’Egitto nel 1971 e più di trent’anni dopo dalla Germania,
che avrebbero dovuto indurre alla massima cautela gli acquirenti.
Tuttavia,
l’allora direttrice del Museo Egizio Eleni Vassilika rifiutò di
ricevere il «reperto» in comodato d’uso gratuito in quanto nella sua
esperienza di lavoro al Roemer and Pelizaeus Museum di Hildesheim si era
già confrontata con lo spaccio di falsi praticato dal mercante d’arte
Serop Simonian. Il contestato oggetto venne ugualmente celebrato a
Torino con la mostra Le tre vite del papiro di Artemidoro tenutasi nel
2006 a Palazzo Bricherasio a cura di Settis e Gallazzi, seguita da una
successiva rassegna presso la sezione di egittologia del Neues Museum di
Berlino.
Dal 2014, invece, il papiro è esposto al Museo di
Antichità del capoluogo piemontese, dove si spera potrà tornare, dopo il
temporaneo trasferimento all’Istituto Centrale per il Restauro, quale
testimonianza eccellente dell’archeologia dell’illusione. Sarebbe
infatti un peccato non approfittare di questa clamorosa vicenda per
raccontare come ancora oggi la fascinazione per il mondo antico e
l’immaginario che ne deriva, sviino talvolta sulla pericolosa strada del
potere e del denaro, tradendo il valore della cultura. Il geniale
Simonidis e l’astuto Simonian si sono fatti beffa di ciechi (o forse
azzardati) amanti dell’arte. A noi spetta ora tramandare la verità
storica.