giovedì 13 dicembre 2018

Corriere 13.12.18
Rachmaninov e il selvaggio bis del russo Feodor
di Enrico Girardi

Se è vero che il lavoro di un direttore musicale non si valuta sulla singola prestazione ma sul medio-lungo periodo, ovvero sull’identità musicale della formazione che dirige, occorre valutare nei termini più lusinghieri l’identità che Claus Peter Flor sta imprimendo su laVerdi. In poco più di un anno — anche se l’ufficialità dell’incarico risale a gennaio 2018 — l’orchestra milanese sembra aver infatti acquisito la solidità, il peso e la compattezza di cui aveva bisogno. E un programmone come quello Liszt-Rachmaninov-Musorgskij (Les Préludes, Concerto per pianoforte n.2 e Quadri di una esposizione), eseguito in questi giorni di fronte a una platea gremita, lo dimostra. Si può evitare di sovrastare di suono il giovane pianista ospite, ma la musica arriva tosta, viva. Il suono poggia su fondamenti abbastanza solidi da reggere il peso delle architetture di Musorgskij e Liszt, che tutto sono fuorché leggere. I numerosi interventi solistici dell’orchestrazione di Ravel dei Quadri vantano carattere. In certi casi, sicura personalità.
Un capitolo a sé merita invece la prova del solista Feodor Amirov. Con quel volto da russo d’Oriente, quella barba nera e quei capelli a mezza schiena sembra lui, Attila, o una sua reincarnazione. Selvaggio peraltro è un suo bis in forma di improvvisazione in cui canta, suona, colpisce la cordiera, usa ogni parte dello strumento come percussione, ne sbatte anche il coperchio. Ma dietro questo look da Unno, c’è un Rachmaninov più poetico e cantato che virtuoso e la ricerca di un suono godibile sì, ma esile esile…