Repubblica 12.12.18
Quel giorno in cui scrissi che Canfora aveva ragione
di Anna Ottani Cavina
Un papiro colpito da "bombe intelligenti".
Rovinato
sì, ma con elementi che si leggono senza difficoltà, perché le lacune
non compromettono la comprensione dell’immagine, girano senza mai
centrare il cuore del disegno. Lo stesso accade alle righe del testo
greco, che corrono talvolta intorno ai buchi del papiro secondo quella
che è una prova classica di falsificazione, come — prima di tutti — con
la sola forza dell’analisi filologica, stabilì Luciano Canfora. Così mi
appariva il Papiro di Artemidoro, la cui autenticità divenne oggetto di
una battaglia culturale, combattuta nelle sale delle università. Ma
anche sulle pagine dei principali quotidiani nazionali, che
enfatizzarono la sfida tra i "duellanti" Canfora e Salvatore Settis, a
favore della datazione antica. Su Repubblica intervenni il 6 novembre
2008, dieci anni fa, in seguito a una discussione rigorosa e avvincente
che qualche settimana prima a Bologna, nelle sale dell’Archiginnasio
aveva coinvolto archeologi classici, egittologi, storici, filologi,
storici dell’arte.
Sembrava un’università d’altri tempi con gli
studenti attentissimi e conquistati e docenti impegnati a riflettere e a
farsi capire. Come allora cercavo di spiegare, sulla base della mia
esperienza, quella di chi frequenta mondi e secoli molto diversi, quei
disegni mi sembravano figli di una cultura visiva post-Ingres con un
timbro arcaizzante e non arcaico, che rimandava a una ricerca
neoprimitiva che dalla fine del Settecento percorre gran parte
dell’Ottocento. In quel manoscritto, la trascrizione della realtà,
nonostante la qualità relativa dei disegni era vicina all’estetismo dei
preraffaelliti e di Gustave Moreau. In altre parole, il rapporto troppo
debole tra queste immagini e la statuaria antica risultava sospetto. Nel
puzzle del mondo antico, questi disegni sarebbero stati un unicum che
avrebbe scompaginato la conoscenza dei metodi di produzione artistica.
Anche l’impaginazione per frammenti disegnati in uno spazio libero,
secondo una tipologia più moderna codificata dalle tavole
dell’Encyclopédie, andava in questa medesima direzione.
«Non esistono confronti coevi rappresentativi» ammetteva d’altronde Salvatore Settis.
Anche
i disegni dunque, che pure sono un fatto marginale rispetto ai rilievi
condotti sul testo, la lingua, le mappe geografiche, il cartonnage,
confermavano quella "lettura" documentata e a tutto campo che del Papiro
di Artemidoro aveva da subito proposto la competenza di Luciano
Canfora.