Repubblica 12.12.18
Gli equilibri nella regione
Quel miracolo di pace dei nostri caschi blu che ora è in pericolo
Il generale Del Col stava gestendo la crisi dei tunnel con il presidente libanese.
Adesso saremo ancora ritenuti super partes?
di Gianluca Di Feo
Questa mattina pattuglie di caschi blu italiani attraverseranno i villaggi libanesi a ridosso della frontiera.
Lo
fanno da dodici anni, da quando la nostra mediazione pose fine
all’invasione israeliana e ai lanci di razzi dei miliziani. Da allora
mantengono calmo il confine più caldo del pianeta, quello dove si
decidono i destini del Medio Oriente. Da allora, la popolazione
appartenente alla comunità sciita che si riconosce nel movimento
Hezbollah li ha sempre guardati con rispetto: una forza super partes che
garantisce la pace. Ma ora tutto potrebbe finire.
Matteo Salvini
ieri ha deciso di cambiare la politica estera italiana. Il vicepremier
con una sola frase ha spostato la linea del governo e vanificato gli
sforzi diplomatici e militari di un intero paese. Ha chiamato Hezbollah
"terroristi islamici". Una posizione che né l’Unione europea, né l’Onu,
né tantomeno i precedenti governi di destra e sinistra hanno mai
condiviso, pur ritenendo alcuni esponenti del movimento sciita
responsabili di gravi attentati. Salvini invece si è schierato dalla
parte di Washington e, ovviamente, di Israele. Ma nelle questioni
mediorientali la situazione è più complessa di un tweet e sono le
sfaccettature a fare la differenza.
Hezbollah ha un doppio volto,
armato e politico, pienamente inserito nelle dinamiche parlamentari di
Beirut. Cosa che evidentemente il leader leghista ignora, poiché ha
definito Israele "baluardo della democrazia nella regione": anche il
Libano è una democrazia, fragile e multiconfessionale, che sopravvive
alle ferite di un terribile conflitto civile.
La svolta di Salvini è avvenuta nel momento di massima tensione.
Israele
ed Hezbollah, principale alleato dell’Iran e del regime di Assad,
stanno combattendo una guerra parallela in Siria. Poi la scorsa
settimana sono stati scoperti i tunnel scavati dai miliziani di
Hezbollah per penetrare nel territorio israeliano e il confronto si è
spostato sul confine libanese. In mezzo c’è il contingente Unifil,
guidato dal generale Stefano Del Col, con 1.100 soldati della brigata
Garibaldi e altri 2600 caschi blu.
Ieri, proprio mentre il
vicepremier atterrava in Israele, il comandante Del Col stava
incontrando il presidente libanese Michel Aoun, cristiano e principale
alleato politico del movimento Hezbollah. Hanno parlato di come impedire
l’escalation: l’ufficiale ha presentato i risultati delle verifiche
condotte dall’Onu, valutando le misure dell’esercito libanese per
neutralizzare i tunnel ed evitare ritorsioni israeliane. Ogni passo in
quel terreno minato richiede enorme cautela: in gioco c’è il futuro
dell’intera regione, perché un attacco contro Hezbollah potrebbe
coinvolgere l’Iran. Tra Libano e Israele, formalmente in guerra, non
esistono canali di comunicazione, ma gli italiani sono riusciti a
inventare una soluzione: convocano i generali dei due Paesi in un
edificio sul confine, permettendo così di discutere i problemi faccia a
faccia. La scorsa settimana c’è stato uno di questi vertici, chiuso con
l’accordo che affida all’Onu le ispezioni sui tunnel. Del Col aveva
detto: «Tutte le parti devono rendersi conto del rischio che un
incidente possa provocare conseguenze imprevedibili». E aveva invitato
ad abbassare «l’alto livello di retorica». Parole troppo sagge per
l’inarrestabile protagonismo di Salvini. Non a caso dal ministero della
Difesa hanno sottolineato i rischi a cui espone i nostri soldati:
Elisabetta Trenta è stata ufficiale in Libano. Sa cosa significa
pattugliare un villaggio sciita, dove tanti dispongono di armi potenti
ma tutti rispettano gli italiani. E sa come ora il clima potrebbe
cambiare.