Repubblica 12.12.18
I tormenti nella maggioranza
A Palazzo Chigi la crisi non è più un tabù e ora la Lega è tentata dal voto a marzo
di Tommaso Ciriaco
ROMA
Per un giorno intero il governo gialloverde è sferzato da venti di
tempesta. Presentarsi a Bruxelles con in tasca al massimo il 2,1% è come
esporre Giuseppe Conte a una disfatta certa. E rendere inevitabile il
precipizio verso una dolorosa procedura d’infrazione. Tutto sembra
affondare talmente velocemente che a sera a Palazzo Chigi si fa spazio
lo scenario più estremo: una crisi di governo ed elezioni anticipate
entro marzo.
La gravità della situazione la si intuisce da un
retroscena rimasto riservato: per un giorno intero l’incontro tra Conte e
il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker traballa.
Talmente pericolosamente che a metà pomeriggio pare addirittura saltare.
Da Bruxelles, d’altra parte, erano stati chiari: presentatevi soltanto
con una rilevante riduzione del deficit, altrimenti è inutile
incontrarsi. A Palazzo Chigi scatta subito l’allarme. Conte ha necessità
di mostrarsi pronto fino all’ultimo al dialogo con l’Europa.
Per
questo, il premier attiva immediatamente gli ambasciatori più ascoltati
in Europa e cerca di "salvare" il faccia a faccia. Tria e Moavero
chiamano i vertici della Commissione. Ma la certezza del summit si avrà
soltanto oggi alle 11, quando l’aereo del premier dovrebbe decollare da
Ciampino.
La verità è che fino a tarda notte Conte e Tria, tabelle
della Ragioneria alla mano, tentano una scalata impossibile. Il
ministro dell’Economia lo ripete al premier: «Per evitare la procedura
dobbiamo sforzarci di raggiungere l’1,9%». Parla, Tria. Ma chi dovrebbe
ascoltarlo, cioè Salvini, è troppo lontano. A Gerusalemme, impegnato in
una missione che assomiglia a un viaggio da premier. Ed è proprio nel
cortile dell’hotel King David che il leader della Lega gela le speranze
del Tesoro. «Sulla manovra abbiamo chiuso l’accordo politico interno al
governo confida - Quota 100 la faremo, e la faremo per tre anni». Numeri
non ne vuole fare, «neanche sotto tortura». Ma poi lascia intendere con
un sorriso che sì, l’esecutivo non andrà mai sotto il 2,1%. La ragione è
presto detta: secondo gli ultimi calcoli, è possibile risparmiare quasi
un miliardo dal reddito e qualcosa in più dalla Fornero, visto che
partiranno il primo aprile. Ma è anche vero che quota 100 costerà più
del previsto nel biennio successivo. I conti non tornano. Ed è
esattamente a questo punto della storia che crollano le certezze di Tria
e rischia di scattare la campanella dell’ultimo giro per l’esecutivo.
Da
giorni nel Carroccio si rincorre una voce: Salvini è pronto a tornare
alle urne prima delle Europee, cavalcando lo scontro con l’Unione.
Circola già una data possibile per nuove elezioni politiche, il week end
del 10-11 marzo. Tra i fautori del ritorno al voto ci sarebbe
praticamente l’intera pattuglia di governo del Carroccio. «Per noi
andrebbe bene votare subito confidava qualche giorno fa il ministro
leghista Lorenzo Fontana Se Matteo avesse la certezza di ottenere le
elezioni, le avrebbe già chieste». L’occasione, adesso, sembra
presentarsi proprio con l’eventuale procedura. Non a caso, i toni di
Salvini contro l’Europa subiscono una nuova impennata: «Sarebbe
incredibile se ci imponessero una procedura nel momento in cui Macron,
il presidente pro tempore dei francesi, porta Parigi oltre il 3%».
La
tentazione del leader, insomma, sarebbe quella di far precipitare tutto
dopo il 19 dicembre. Quel giorno, in assenza di modifiche sostanziali
alla manovra, la Commissione farà scattare le famigerate
raccomandazioni, anticamera della stangata all’Italia. Aprendo la strada
a una punizione assai più pesante di quella eventualmente riservata a
Parigi, visto che nel caso italiano si tratta di una procedura per
debito e non per extra-deficit. Per smarcare l’esecutivo da un peso a
quel punto insostenibile, la Lega preferirebbe reclamare le urne. Anche
perché una bocciatura della manovra è destinata ad aprire comunque una
frattura insanabile nell’esecutivo.
I ministri considerati in
bilico sono tre. Si tratta dell’ala "responsabile", capitanata
ovviamente da Tria e da Enzo Moavero Milanesi. Avrebbero già fatto
sapere di non essere disposti a proseguire di fronte a un conflitto
aperto con Bruxelles, dagli esiti imprevedibili. E Conte?
Impegnato
fino all’ultimo nella mediazione, sembra però ormai rassegnato. Nel
Movimento, d’altra parte, già si promette battaglia in vista
dell’incontro con Juncker. E si arruola il premier in questa sfida.
«Non
ci caleremo le braghe - è il senso del messaggio già elaborato Non
possiamo scendere sotto il 2,1%. Non possono trattarci così per uno
0,2%, quando la Francia sfora ben più di noi». Anche Palazzo Chigi,