Repubblica 10.12.18
L’analisi
Questa Italia senza gilet
di Piero Ignazi
Dieci
anni di pace sociale nonostante più grave crisi economica del secolo e
poi, d’un tratto , l’aumento di qualche centesimo del carburante fa
esplodere una rivolta. Da un mese la Francia è attraversata da proteste
prima tradizionali – blocchi stradali e picchetti – e ora violente e
devastatrici. Unico paragone possibile, le periferie in fiamme del
novembre 2005 : allora i giovani " ghettizzati" delle banlieue, popolate
soprattutto da immigrati di seconda e terza generazione, avevano dato
vita a una guerriglia urbana con migliaia di auto incediate (più di 4000
in soli tre giorni) e scontri durissimi con la polizia. Ma tutto si
esaurì in tre settimane senza apparenti conseguenze politiche. Era la
rivolta di una gioventù emarginata, che scatenava la propria rabbia per
una condizione umiliante, senza prospettare obiettivi diversi dal gesto
distruttivo. L’esplosione dei gilet gialli è tutt’altra cosa: è stata
innescata da persone con una età centrale, che lavorano con impieghi
precari o di reddito medio e medio- basso, e residenti in centri minori.
Il profilo di un elettorato medio, non di giovani arrabbiati. Siamo di
fronte a un movimento sociale ancora senza capi , né coordinamento
centrale, e al quale suppliscono i social media che consentono
un’organizzazione reticolare e in tempo reale. La protesta ha comunque
un obiettivo preciso, l’establishment. « Macron dimissioni » è l’unico
slogan comune. Per il resto, i gilet gialli, coniugano ispirazioni
identitarie e populiste con rivendicazioni sociali, aggressività
machista con domande di riconoscimento della loro " diversità sociale"
rispetto alle élite. E alla radice di tutto c’è la sensazione della
perdita di status e di futuro; e che nessuno ascolti e comprenda le loro
ragioni. Nemmeno le opposizioni (per ora) sono in grado di
rappresentare questo movimento. Lo stesso sentimento di abbandono
percorre anche gli italiani, come dimostra lo studio del Censis appena
pubblicato. Non a caso, nel nostro Paese, per molto tempo fino a pochi
mesi fa, la voglia di rivoluzione (letteralmente, come indicano i dati
Swg) ha superato l’orientamento favorevole alle riforme. Eppure non è
nato alcun movimento di protesta analogo a quello dei gilet gialli , né è
probabile che questo avvenga. Questo perché negli ultimi anni molti
attori politici hanno rappresentato, con diversa credibilità, l’anti-
establishment. La pulsione al cambiamento radicale è stata interpretata
da tutti coloro che si sono posti in contrasto con il passato. Se
tracciavano una linea di demarcazione tra loro e chi li aveva preceduti,
diventavano, ipso facto, credibili. Così è successo a Renzi che ha
tratto grande impulso dalla sua demolizione dell’establishment del Pd.
Solo che, esaurita la pars destruens, l’aura del vincitore si è
trasformata nella zavorra del governante ( per di più , saccente). Anche
a lui sono state inflitte tutte le stimmate che spettano a chi entra
nel Palazzo. Così sta accadendo ai 5Stelle, espressione massima
dell’anti- establishment al potere. Il loro pessimo esordio nella stanza
dei bottoni scontenta un po’ tutti. Si vedono già i primi segni di un
declino che diventerà rovinoso nel momento in cui risuoneranno nei
social e nelle strade le accuse di tradimento. Le aspettative suscitate
da anni di opposizione assoluta, intessuta da promesse mirabolanti, si
ritorceranno come un boomerang nei loro confronti. Va comunque
riconosciuto che l’insoddisfazione profonda e di lungo periodo degli
italiani non è sfociata in proteste violente perché si è indirizzata
verso i 5Stelle i quali ne hanno dato uno sbocco politico- parlamentare.
Nemmeno il loro fallimento, però, scatenerà "la piazza" perché della
crisi dei pentastellati trarrà profitto chi, sornione e navigato, ha
evitato di prendere rischi. La Lega è pronta a raccogliere, e gestire,
il vento della protesta, eventualmente disarcionando gli attuali
alleati.