Corriere 10.12.18
L’anniversario
Il naufragio dei diritti umani (anche) nelle democrazie liberali
di Donatella Di Cesare
A 70 anni dalla dichiarazione universale Onu viene criminalizzato chi li difende
Sono
trascorsi settant’anni da quando l’Assemblea generale della Nazioni
Unite votò la Dichiarazione universale dei diritti umani. Era il 10
dicembre 1948 e il mondo non voleva né poteva dimenticare quegli orrori
della Seconda guerra mondiale, che non avrebbero più dovuto ripetersi.
Da quel proposito nacque un testo costituito da trenta articoli in grado
di garantire giustizia, dignità, opportunità, e impedire qualsiasi
discriminazione. Libertà per la persona, rispetto per la vita di
ciascuno.
Nel celebrare oggi quella scelta, non si può fare a meno
di constatare il naufragio dei diritti umani, soprattutto negli ultimi
anni. Anziché essere protetti, rafforzati, estesi, quei diritti sono
stati apertamente attaccati oppure nascostamente minati. Non solo nei
regimi totalitari, ma anche nelle democrazie liberali.
I motivi
del naufragio sono molteplici. Alcuni sono insiti già nel testo. Pur
restando un documento fondamentale, il codice dei diritti umani è il
prodotto dell’Occidente illuminato. Con il tempo ha finito per rivelarsi
una sorta di lingua artificiale, priva di spessore storico. Non è un
caso che i vari articoli siano stati intesi diversamente malgrado la
loro pretesa universalità. Non pochi conflitti d’interpretazione sono
poi degenerati in veri e propri scontri bellici. Ma c’è di più. Quel
codice universale sembra scaturito da un’etica che promette solo legami
astratti. D’altronde i diritti hanno un’impronta fortemente
individualistica: è il singolo ad essere il protagonista. Il ruolo della
comunità, che oggi appare sempre più decisivo, è invece trascurato.
All’astrattezza
filosofica e alla vaghezza giuridica si aggiunge un motivo più
prettamente politico: quei diritti sono destinati a restare sulla carta,
perché gli Stati, pur aderendo idealmente, non sono obbligati a
rispettarli. Manca, dunque, l’obbligatorietà. Perciò gli esempi di
diritti negati sarebbero innumerevoli.
Che ne è ad esempio del
diritto alla libertà, alla vita, al movimento? Nella nuova età dei muri e
del filo spinato questi diritti sono sistematicamente violati. Anzi la
violazione è eretta a sistema politico. La libertà di muoversi si
arresta al confine.
Sempre più acuto è il contrasto, lasciato in
eredità dalla Rivoluzione francese, fra i diritti dell’uomo e quelli del
cittadino. I diritti umani valgono solo se si possiedono i privilegi
del cittadino. Chi non ha cittadinanza, un passaporto da esibire, lo
scudo di uno Stato-nazione, non ha protezione giuridica. Di nuovo: è lo
Stato sovrano che detta legge. Lo aveva denunciato Hannah Arendt
reclamando, con una formula divenuta celebre, un «diritto ad avere
diritti». Perché si tratta del diritto all’appartenenza, la cui
negazione costituisce la frontiera della democrazia.
Infatti a
proteggere è il diritto, non l’umanità. Così, chi non è coperto da
bandiere e drappi, chi è più esposto nella propria nuda umanità, non può
paradossalmente avere protezione. I diritti umani, inalienabili,
irriducibili, non derivanti da alcuna autorità, sono allora condannati a
naufragare. E con loro gli esseri umani respinti, banditi nell’inumano.
Sappiamo
bene che i diritti umani furono proclamati dopo la Shoah che aveva
inferto una ferita profonda, per molti versi irreparabile, alla dignità
umana. Ma che cosa vuol dire «dignità»? Non comportarsi come se si fosse
nessuno, come se si fosse una cosa e non una persona. Compito, allora,
affidato alla comunità, prima che al singolo. Ma soprattutto che cosa
vuol dire «umanità»? Condivisa, ma sfuggente, la parola assume valore –
ce lo insegna Primo Levi – nei casi di estrema umiliazione, di offesa,
avvilimento, oltraggio.
Il divario sempre più ampio è ormai quello
tra la sfera politica, dominata dagli Stati, e l’azione umanitaria. Si
spiega così la difficoltà in cui si dibattono gli enti sovranazionali e
soprattutto le organizzazioni umanitarie. A cominciare da quelle che si
occupano dei rifugiati. Proprio perché dovrebbero operare tra gli Stati,
non solo sono costrette all’impotenza, ma vengono continuamente
delegittimate e diffamate. È l’effetto di questi tempi in cui è diffuso
un oscuro e inquietante sovranismo: non la tutela e l’applicazione dei
diritti umani, bensì, al contrario, la criminalizzazione di chi li
difende.