Repubblica 1.12.18
La strategia del Viminale
L’offensiva contro i permessi umanitari ma ora 15mila italiani rischiano il lavoro
Chi oggi gode della protezione cancellata da Salvini presto sarà irregolare
Le associazioni: tutto scaricato sui sindaci per motivi elettorali
di Alessandra Ziniti
ROMA
L’input è partito dalla Direzione libertà civili e immigrazione del
Viminale, secondo una filosofia che era già stata esplicitata dalla
prefetta Gerarda Pantalone quando aveva illustrato i criteri del taglio
dei famosi 35 euro per la gestione dell’accoglienza di ogni singolo
migrante: niente lezioni di italiano, niente formazione, niente servizi
sociali per i titolari di protezione umanitaria, inutile investire
risorse per integrare chi è destinato a non rimanere in Italia alla
scadenza del permesso.
E, a quanto pare, “inutile” investire
persino per dare un tetto a chi, comunque, in Italia in questo momento è
da regolare, con documenti di identità e un permesso che, sulla carta,
potrebbe alla scadenza essere trasformato in permesso di lavoro. Se
solo, naturalmente, si desse la possibilità di compiere un percorso in
questo senso.
E invece fuori tutti, donne e bambini compresi,
nonostante le assicurazioni di Salvini. Le circolari inviate in questi
giorni dai prefetti di tutta Italia ai gestori dei pochi centri per
richiedenti asilo e dei circa 7.500 centri di accoglienza straordinaria
non risparmiano proprio nessuno.
Neanche chi, per paradosso, se
dovesse trovarsi oggi davanti ad una commissione territoriale, si
vedrebbe riconosciuto un permesso speciale perché vittima di violenza e
che invece, con il “vecchio” permesso umanitario, non solo non potrà più
accedere al circuito di seconda accoglienza degli Sprar ma deve
lasciare anche l’alloggio che ha finendo in strada da un giorno
all’altro.
Leggiamo ad esempio la comunicazione con la quale la
prefettura di Potenza ha invitato i gestori dei Cas a dare il benservito
ai propri ospiti. Ricordando come la legge Salvini prevede che
l’accoglienza negli Sprar sia riservata solo ai titolari di protezione
internazionale e ai minori non accompagnati, «si fa presente che
cesseranno conseguentemente i servizi di accoglienza nei confronti di
titolari di protezione umanitaria che dovranno pertanto essere invitati a
lasciare le strutture.
Questa prefettura non corrisponderà dal
primo dicembre il pagamento delle somme per i servizi di accoglienza nei
confronti dei suddetti stranieri che dovessero rimanere nelle
strutture».
Il cavillo è tutto in quell’avverbio
“conseguentemente”: come dire che, visto che la nuova legge non prevede
il trasferimento dei titolari di protezione umanitaria nel circuito
Sprar, non c’è motivo di sostenere neanche i costi della prima
accoglienza di persone che, a scadenza di quel permesso che è di fatto
stato abolito, riceveranno nella maggior parte dei casi un provvedimento
di espulsione.
«Un’interpretazione del tutto arbitraria quella
dei prefetti — dice Filippo Miraglia, vicepresidente dell’Arci,
associazione che con la sua rete gestisce circa 120 centri di
accoglienza — è come se una persona che va al pronto soccorso e che
aspetta di essere ricoverata in un reparto, in assenza di un posto,
viene cacciata via anche dal pronto soccorso. È una linea di estrema
gravità quella del Viminale che si lava le mani del destino di migliaia
di persone scaricando sui Comuni che, con le poche risorse che hanno,
dovranno farsi carico dell’assistenza di un esercito di nuovi senza
tetto. Tutto ciò si trasformerà presto in un disagio ben visibile sotto
gli occhi di tutti con una raffica di conflitti e di interventi
securitari che faranno comodo a chi ci farà su la campagna elettorale».
Da
qualche giorno il numero verde 800905570 di assistenza ai migranti è
preso d’assalto. Chiama Ibrahim, 20 anni, della Guinea Bissau. A lui il
permesso umanitario lo hanno concesso da appena due mesi e gli scadrà
nel 2020, ma gli hanno già notificato il provvedimento che gli intima di
lasciare il Cas in provincia di Viterbo nel quale si era appena
inserito. «Dove vado? Che devo fare? Ma io adesso sono in regola.
Volevo cominciare a imparare un lavoro». E come lui decine e decine di altri.
La
galassia di associazioni che gestisce i centri in cui si prevede già la
perdita del posto di lavoro per circa 15.000 italiani ha avviato un
monitoraggio e interessato i legali per capire se esistono i presupposti
di un ricorso. «Ma tutto questo — osserva ancora Miraglia — ha anche
una grande valenza sociale e politica. Mentre prima queste persone,
nell’iter dai centri di prima a quelli di seconda accoglienza, avevano
una chance di entrare nel mondo del lavoro, adesso per loro è finita.
Saranno solo manovalanza criminale. Il governo dovrà assumersi la
responsabilità di trasformare potenziali lavoratori in casi sociali,
gente che avrebbe potuto presto mantenersi da sola in un peso sociale».