Il Fatto 1.12.18
Cara Anpi, il dl Salvini è figlio di molti padri
di Tomaso Montanari
“Con
l’approvazione del decreto Sicurezza si stravolge di fatto la
Costituzione”. La voce dell’Associazione Nazionale Partigiani ancora una
volta si leva per dire la verità. E la dura, triste verità è che
festeggiamo l’ottantesimo delle leggi razziali con una legge francamente
razzista. Non solo sul piano del colore della pelle, ma anche su quello
sociale. L’aspetto più odioso della legge Salvini è forse proprio
l’evidente odio verso i poveri. Torna la tassa (già introdotta dalla
Lega nel 2009 e poi abrogata) sulle rimesse dei migranti. Sì: non sulle
transazioni finanziarie, non sui grandi capitali. Ma sui soldi che i
poveri mandano a casa.
E poi l’idea di città, una città sicura
solo per alcuni: i negozi etnici diventano diversi da quelli italiani; i
vigili urbani col taser; i daspo urbani che si allargano; la perdita
dell’asilo politico anche per i furti in appartamento; il raddoppiamento
del tempo in cui i migranti possono essere inghiottiti nei non-luoghi
dei Centri di permanenza per il rimpatrio; pene più severe per chi
occupa immobili abbandonati; il carcere per chi chiede l’elemosina con
insistenza, e per i parcheggiatori abusivi. È una condanna della
marginalità sociale, una persecuzione del disagio. Il “degrado” delle
città viene fatto coincidere con la povertà: che non si cura, ma si
punisce. Fino al vertice simbolico dello smontaggio della stessa idea di
cittadinanza, che ora si può revocare per terrorismo, ma solo a chi non
l’ha acquisita per nascita. Colpire, nascondere, sorvegliare la città e
la cittadinanza dei poveri: tenerla distinta e separata da quella dei
ricchi, in una regressione secolare. Ora, tutto questo non si combatte
con un “fronte repubblicano”, o comunque lo si chiami. Ed è per questo,
che con tutta la mia devozione all’Anpi, non condivido l’appello “alle
forze politiche democratiche” cui l’Associazione dice: “Basta divisioni,
discussioni stucchevoli, rese dei conti”. Credo che l’egemonia
culturale della destra salviniana – perché di questo si tratta – non si
combatta con l’unità dei pochi militanti, ma con un discorso di verità.
E
la verità è che “l’Italia entra nell’incubo dell’apartheid giuridico”
(così ancora l’Anpi) non oggi, col decreto Salvini. È una storia più
antica, i cui protagonisti negativi sono in larga parte proprio quelli
che oggi (del tutto strumentalmente) si affollano dietro la bandiera
della resistenza civile alla barbarie. In un piccolo, prezioso libro di
dieci anni fa (Lavavetri, Terre di Mezzo 2009) Lorenzo Guadagnucci ha
raccontato come la retorica della sicurezza e del decoro urbano siano
nate nella Firenze – largamente pre-renziana – del sindaco Leonardo
Domenici e del suo assessore-sceriffo Graziano Cioni. Nel luglio del
2008 (nel pieno delle campagne sulla sicurezza del governo Berlusconi),
la giunta “di sinistra” fiorentina varava un Regolamento di Polizia
Urbana nel quale è possibile leggere in chiaro non solo la radice, ma un
bel tratto della malapianta che oggi fiorisce grazie a Salvini.
Guadagnucci
racconta come il fiorentino Pier Luigi Vigna, allora procuratore
nazionale antimafia, e la stessa Procura di Firenze furono costretti a
intervenire smentendo l’amministrazione: nessuna reale esigenza di
sicurezza giustificava la stretta anticostituzionale contro i lavavetri e
i rom fiorentini. Mentre alcuni preti digiunavano sotto Palazzo Vecchio
con cartelli che dicevano “bisogna combattere la povertà, non i
poveri”, il governo Berlusconi varava il pacchetto sicurezza di Maroni,
che ricalcava in larga parte quello lasciato dal governo Prodi e non
approdato al Parlamento per la crisi dell’esecutivo. Nell’introduzione a
quest’ultimo si leggeva che, pur diminuendo i reati, bisognava
rispondere all’“insicurezza percepita”. Era il 2007 quando il segretario
del Pd e sindaco di Roma Veltroni teorizzava che la sinistra doveva
“rispondere al bisogno di legalità” con “fermezza e assoluta severità”. È
qui che nasce l’egemonia culturale della destra: quando la sinistra
smette di dire e di pensare che la sicurezza (di tutti, e non solo dei
“salvati”) si costruisce con la giustizia sociale, non con la
repressione.
La cattiva strada era stata imboccata molto prima:
per esempio con la legge Turco Napolitano del 1998, definita da Giuliano
Amato “una sfida alla nostra coscienza e alla nostra stessa
Costituzione”. È questa strada che porta fino all’abisso di Minniti, che
togliendo (tra l’altro) ai migranti il terzo grado di giudizio sancisce
formalmente quell’apartheid giuridica che oggi si denuncia.
In
sintesi: non esiste una soluzione di continuità, ma solo una terribile
escalation tra Salvini e ciò che ha detto e fatto il centrosinistra
quando ha governato le città e il Paese. O si capisce questo, e si
agisce di conseguenza, o l’egemonia di Salvini durerà davvero a lungo.
Per sconfiggerlo ci vogliono altri pensieri e altre parole: nessuna
resistenza è possibile senza la verità.