sabato 8 dicembre 2018

La Stampa 8.12.18
“Patria, sovranità e confini. È il sovranismo psichico”
di Francesco Grignetti

Quelli del Censis, inventori di definizioni fulminanti, ci sorprendono ancora. Stavolta è il «sovranismo psichico» che segna lo stato d’animo collettivo del 2018. Bella immagine, ma esattamente che cosa è? «Dopo il tempo del rancore, è arrivato il tempo della cattiveria. Ciò che abbiamo definito “sovranismo psichico” è uno stato d’animo pre-politico. È la necessità, di fronte a un mondo sempre più globale, di affermare: Noi sappiamo stare nel mondo globale, ma con un modello che dev’essere tutto nostro», risponde Giorgio De Rita, segretario generale del Censis.
Ci spieghi meglio.
«Premesso che la dimensione economica e quella sociale formano un impasto complesso, noi sosteniamo che l’Italia è delusa perché ha creduto seriamente alla ripartenza dopo la grande crisi, ma se pure l’economia ha dato segni di vitalità, non si sono visti effetti nella società. Ecco perché c’è stata la grande discontinuità del voto del 4 marzo: una larga fetta della società ha voluto mettere in discussione un modello di sviluppo (e anche i partiti tradizionali) che stava dentro i processi sovranazionali. E qui sono riemerse antiche parole d’ordine, come patria, sovranità, confini».
Voi dite che questa reazione è propositiva?
«Il corpo sociale ha reagito con la riaffermazione della sovranità, ovvero della politica, visto che l’economia non è riuscita a risolvere i problemi. Dopo tanti anni di rancore, il corpo sociale ha voluto riaffermare la propria centralità e la voglia di spezzare il declino che si vede avanzare passo dopo passo».
In effetti si sente spesso lo slogan: prima i cittadini, poi i numerini. Salvo che con la legge di Bilancio la maggioranza è chiamata a una prova di realtà.
«Esatto. Un conto è affermare che serve un nuovo modello di sviluppo, altro è riuscirci. Ma è innegabile che già l’anno scorso, come affermavamo nel Rapporto 2017, si stava chiudendo un ciclo. Avevamo visto che era in arrivo una reazione emotiva. Per questo diciamo che è finita la stagione del rancore, e si è aperta quella della cattiveria. La differenza è che il rancore era sterile, fine a sé stesso. Ora, con il sovranismo psichico, c’è voglia di riscatto».
Non è propriamente una lettura di sinistra, vero?
«Mi rendo conto che il mainstream di sinistra non sarà d’accordo, ma resta il fatto, secondo noi, che questa rottura esprime un progetto e abbandona la fase sterile del puro risentimento. C’è una domanda di regole da parte degli italiani che è sempre più forte. Regole per la gestione del territorio, per il welfare, per l’istruzione, per la convivenza civile. E non è soltanto isolazionismo. Gli italiani sono, per certi versi, sempre gli stessi. Riaffermano il mondo come società possibile, come luogo dove esprimere la capacità degli italiani e del modello di sviluppo italiano di essere dentro i processi globali».
Quindi lei, De Rita, vede una reazione positiva?
«Vedo che da parte del corpo elettorale c’è stato un mandato politico forte a una rottura con un modello di sviluppo. Naturalmente la richiesta è accompagnata da alcune condizioni. Ne vedo due in particolare: che il nuovo modello sia aderente alla realtà e che nel procedere non ci siano tentennamenti. Nel momento in cui si vedesse che la politica si perde per strada, non la perdoneranno. Ogni incertezza rispetto agli annunci sarà punita».
Lei dice che comincia anche la stagione della paura. Ma quand’è che gli italiani si acquieteranno?
«Quando ci sarà una risposta al primo dei problemi, che è il lavoro. Se l’economia riparte ma non ci sono dividendi per il lavoro, gli italiani non riconoscono il nuovo senso di marcia. È quel che ha penalizzato Renzi: puoi dare tutti i bonus che vuoi, ma devi riuscire a dare il senso di uno scatto in avanti della società. Questo è il mandato che hanno ricevuto le forze politiche vincenti il 4 marzo».
Che ci riescano, come dicevamo, è tutto da vedere.
«Naturalmente. Ma io sono ottimista. Credo che l’Italia riuscirà ad affermare un nuovo modello di sviluppo».