La Stampa 8.12.1di
Indagine sulla fine del Profeta
“Un crimine? Non lo sapremo mai Ma qui nasce il malessere islamico”
di Karima Moual
Hela
Ouardi, tunisina, insegna letteratura francese all’Istituto Superiore
di Scienze Umane dell’Università di Tunisi ed è ricercatrice presso il
Laboratorio di Studi sul Monoteismo al Cnrs di Parigi. Il suo libro Gli
ultimi giorni di Maometto (Enrico Damiani editore) è la ricostruzione di
uno degli eventi più misteriosi della storia dell’islam: la morte del
Profeta. Con un taglio da romanzo la studiosa cerca di far emergere
l’uomo sepolto sotto la leggenda eroico-religiosa per restituirlo alla
storia. E lo fa, provando a porre le domande giuste che ancora coprono
di mistero e leggenda quell’evento che segnerà per sempre la comunità
musulmana. Ad arricchire l’inchiesta sono le numerose fonti tradizionali
sunnite e sciite, studiate e approfondite da restituirci il ritratto di
un uomo indebolito e minacciato da più parti.
«La prima
generazione dei musulmani probabilmente non considerava Maometto un
personaggio sacro. Lui stesso ha rivendicato di essere solo un mortale
tra i mortali», scrive Hela Ouardi». Oggi l’adorazione dei musulmani per
il Profeta è spinta a un tale parossismo che al personaggio si
accompagna una vera e propria ossessione per la blasfemia. In un certo
senso, la venerazione di cui è oggetto lo ha fossilizzato».
Un’inchiesta su Maometto, figura per molti fedeli intoccabile, non è un po’ rischiosa?
«Se
prima di scrivere un libro sull’islam prendessimo in considerazione ciò
che pensano i fedeli, non scriveremmo più una riga su questa religione.
Non mi sento di aver preso un rischio particolare, perché da anni ormai
vediamo bene che il fanatismo è un mostro cieco che non distingue le
sue vittime. Colpisce tutti e dappertutto (anche i musulmani nelle
moschee non vengono risparmiati!). Tuttavia, l’indagine sulla morte del
Profeta è una vera e propria sfida intellettuale che mi sono prefissata:
il lavoro su un argomento così delicato, la minuziosa esplorazione di
decine di fonti della Tradizione, il lavoro di riferimento e di
confronto dei diversi racconti, la raccolta dei pezzi del “puzzle” è
stata un’avventura scientifica al tempo stesso difficile e
appassionante».
Dal suo lavoro emergono elementi interessanti
proprio perché contrastanti rispetto alla storia comunemente accolta dai
fedeli musulmani. Scricchiola fortemente quel racconto divulgato da
secoli sul ruolo del Profeta e sui suoi compagni più fidati, tutt’altro
che «ben guidati». Com’è stata accolta questa lettura dal pubblico
musulmano?
«Quando si pubblica un libro, si getta una sorta di
bottiglia in mare, non sappiamo chi la prenderà e cosa ne farà. Ma posso
dire che il libro è stato accolto molto bene. Ha incontrato molti
lettori e non ho ricevuto alcuna minaccia. C’è una ragione molto
semplice per questo, ed è che il mio libro è pieno di riferimenti alla
Tradizione musulmana. Il lettore vede immediatamente che non sto
inventando nulla e che questa immagine poco gloriosa dei Compagni del
Profeta non viene fuori dalla mia immaginazione ma dai libri più
ortodossi dell’islam».
L’immagine dei personaggi e anche degli
eventi che li interessano è molto più politica che spirituale, il Corano
stesso, come lo conosciamo oggi, è frutto di una redazione fatta molto
tempo dopo la morte del Profeta. Quasi a perdere quella sua
infallibilità, come autentica parola di Dio e di Dio solo. E così?
«Ci
sono due modi di percepire il Corano: i credenti ci vedono la parola di
Dio, infallibile e miracolosa; gli storici, i filologi eccetera lo
vedono come un oggetto storico che ha subito un’evoluzione e in cui è
intervenuta la mano dell’uomo. Da sempre (non solo oggi) sappiamo che il
Corano, così come fu rivelato al Profeta, è perduto per sempre e che
circolano molteplici versioni differenti di questo libro. L’argomento è
stato trattato da diversi autori della Tradizione come Ibn Abî Dawûd,
nel IX-X secolo, nel suo libro Kitâb al-Masâhif (il Libro dei
manoscritti del Corano), dove passa in rassegna le diverse versioni del
testo sacro. Penso che l’esistenza di diverse versioni del Corano non
sia totalmente incompatibile con la fede: il musulmano può credere che
sia un testo di ispirazione divina e ammettere che la compilazione e la
trasmissione di questo testo sia un’opera umana quindi imperfetta».
Sappiamo
però che un cospicuo numero di fedeli è invece convinto che il Corano
sia opera perfetta, e quindi fuori da ogni discussione. Approfondire le
incongruenze sulla morte del Profeta cosa potrebbe comportare non solo
tra gli studiosi ma anche tra intellettuali e uomini di fede musulmana?
«In
nessun momento la Tradizione dice categoricamente che la morte del
Profeta è stata naturale; al contrario, la maggior parte delle fonti
afferma che è stato avvelenato da una donna ebrea; altre versioni dicono
che è morto di pleurite. Io non metto in dubbio nulla, non difendo
alcuna ipotesi: espongo le storie della Tradizione, le commento,
sottolineo le contraddizioni. E quando è di fronte a narrazioni
contraddittorie dei testimoni che interroga, un investigatore inizia ad
avere dubbi. Quindi per me la morte del Profeta è semplicemente
misteriosa: c’è stato un crimine? La sua morte è stata naturale? Io non
lo so e non lo saprà nessuno (a meno che non apriamo la sua tomba!), ma
quello di cui sono sicura è che aveva dei sospetti sulla sua cerchia e
pensava che potessero ucciderlo. Ne parlo a lungo nel mio libro».
Qual è l’obiettivo della sua inchiesta?
«Lo
scopo di ogni indagine è la ricerca della verità. Ma la verità che
stavo cercando non erano le circostanze della morte fisica del Profeta.
Quella è una storia antica e ora è in prescrizione. La verità che stavo
cercando sono le profonde cause storiche del malessere dell’islam nella
storia moderna».
Ci sono sicuramente molte ombre su cui far luce
nella storia dell’islam. I tabù sono tanti e la censura è molto forte,
ma, oltre agli ultimi giorni del Profeta, quali sono i personaggi o gli
eventi che meriterebbero una nuova rilettura storica?
«Vorrei
rispondere: tutto nella storia dell’islam meriterebbe una nuova
rilettura, perché la storia dell’islam è stata schiacciata troppo a
lungo sotto il peso della leggenda che mostra personaggi santificati,
idealizzati. Ora è necessario rileggere - e riscrivere - tutto, in modo
tale da riportare quei personaggi alla loro umanità e mostrare che hanno
un lato glorioso e un lato poco glorioso, come in fondo tutti i
protagonisti della storia. L’islam sfortunatamente ha per troppo tempo
confuso la mitologia e la storia, ed è giunto il momento di
distinguerle».
Ha già avuto proposte per una edizione del suo libro in lingua araba?
«La traduzione in arabo è all’ordine del giorno. Probabilmente verrà pubblicato presto».