sabato 8 dicembre 2018

La Stampa 8.12.1di
Indagine sulla fine del Profeta
“Un crimine? Non lo sapremo mai Ma qui nasce il malessere islamico”
di Karima Moual


Hela Ouardi, tunisina, insegna letteratura francese all’Istituto Superiore di Scienze Umane dell’Università di Tunisi ed è ricercatrice presso il Laboratorio di Studi sul Monoteismo al Cnrs di Parigi. Il suo libro Gli ultimi giorni di Maometto (Enrico Damiani editore) è la ricostruzione di uno degli eventi più misteriosi della storia dell’islam: la morte del Profeta. Con un taglio da romanzo la studiosa cerca di far emergere l’uomo sepolto sotto la leggenda eroico-religiosa per restituirlo alla storia. E lo fa, provando a porre le domande giuste che ancora coprono di mistero e leggenda quell’evento che segnerà per sempre la comunità musulmana. Ad arricchire l’inchiesta sono le numerose fonti tradizionali sunnite e sciite, studiate e approfondite da restituirci il ritratto di un uomo indebolito e minacciato da più parti.
«La prima generazione dei musulmani probabilmente non considerava Maometto un personaggio sacro. Lui stesso ha rivendicato di essere solo un mortale tra i mortali», scrive Hela Ouardi». Oggi l’adorazione dei musulmani per il Profeta è spinta a un tale parossismo che al personaggio si accompagna una vera e propria ossessione per la blasfemia. In un certo senso, la venerazione di cui è oggetto lo ha fossilizzato».
Un’inchiesta su Maometto, figura per molti fedeli intoccabile, non è un po’ rischiosa?
«Se prima di scrivere un libro sull’islam prendessimo in considerazione ciò che pensano i fedeli, non scriveremmo più una riga su questa religione. Non mi sento di aver preso un rischio particolare, perché da anni ormai vediamo bene che il fanatismo è un mostro cieco che non distingue le sue vittime. Colpisce tutti e dappertutto (anche i musulmani nelle moschee non vengono risparmiati!). Tuttavia, l’indagine sulla morte del Profeta è una vera e propria sfida intellettuale che mi sono prefissata: il lavoro su un argomento così delicato, la minuziosa esplorazione di decine di fonti della Tradizione, il lavoro di riferimento e di confronto dei diversi racconti, la raccolta dei pezzi del “puzzle” è stata un’avventura scientifica al tempo stesso difficile e appassionante».
Dal suo lavoro emergono elementi interessanti proprio perché contrastanti rispetto alla storia comunemente accolta dai fedeli musulmani. Scricchiola fortemente quel racconto divulgato da secoli sul ruolo del Profeta e sui suoi compagni più fidati, tutt’altro che «ben guidati». Com’è stata accolta questa lettura dal pubblico musulmano?
«Quando si pubblica un libro, si getta una sorta di bottiglia in mare, non sappiamo chi la prenderà e cosa ne farà. Ma posso dire che il libro è stato accolto molto bene. Ha incontrato molti lettori e non ho ricevuto alcuna minaccia. C’è una ragione molto semplice per questo, ed è che il mio libro è pieno di riferimenti alla Tradizione musulmana. Il lettore vede immediatamente che non sto inventando nulla e che questa immagine poco gloriosa dei Compagni del Profeta non viene fuori dalla mia immaginazione ma dai libri più ortodossi dell’islam».
L’immagine dei personaggi e anche degli eventi che li interessano è molto più politica che spirituale, il Corano stesso, come lo conosciamo oggi, è frutto di una redazione fatta molto tempo dopo la morte del Profeta. Quasi a perdere quella sua infallibilità, come autentica parola di Dio e di Dio solo. E così?
«Ci sono due modi di percepire il Corano: i credenti ci vedono la parola di Dio, infallibile e miracolosa; gli storici, i filologi eccetera lo vedono come un oggetto storico che ha subito un’evoluzione e in cui è intervenuta la mano dell’uomo. Da sempre (non solo oggi) sappiamo che il Corano, così come fu rivelato al Profeta, è perduto per sempre e che circolano molteplici versioni differenti di questo libro. L’argomento è stato trattato da diversi autori della Tradizione come Ibn Abî Dawûd, nel IX-X secolo, nel suo libro Kitâb al-Masâhif (il Libro dei manoscritti del Corano), dove passa in rassegna le diverse versioni del testo sacro. Penso che l’esistenza di diverse versioni del Corano non sia totalmente incompatibile con la fede: il musulmano può credere che sia un testo di ispirazione divina e ammettere che la compilazione e la trasmissione di questo testo sia un’opera umana quindi imperfetta».
Sappiamo però che un cospicuo numero di fedeli è invece convinto che il Corano sia opera perfetta, e quindi fuori da ogni discussione. Approfondire le incongruenze sulla morte del Profeta cosa potrebbe comportare non solo tra gli studiosi ma anche tra intellettuali e uomini di fede musulmana?
«In nessun momento la Tradizione dice categoricamente che la morte del Profeta è stata naturale; al contrario, la maggior parte delle fonti afferma che è stato avvelenato da una donna ebrea; altre versioni dicono che è morto di pleurite. Io non metto in dubbio nulla, non difendo alcuna ipotesi: espongo le storie della Tradizione, le commento, sottolineo le contraddizioni. E quando è di fronte a narrazioni contraddittorie dei testimoni che interroga, un investigatore inizia ad avere dubbi. Quindi per me la morte del Profeta è semplicemente misteriosa: c’è stato un crimine? La sua morte è stata naturale? Io non lo so e non lo saprà nessuno (a meno che non apriamo la sua tomba!), ma quello di cui sono sicura è che aveva dei sospetti sulla sua cerchia e pensava che potessero ucciderlo. Ne parlo a lungo nel mio libro».
Qual è l’obiettivo della sua inchiesta?
«Lo scopo di ogni indagine è la ricerca della verità. Ma la verità che stavo cercando non erano le circostanze della morte fisica del Profeta. Quella è una storia antica e ora è in prescrizione. La verità che stavo cercando sono le profonde cause storiche del malessere dell’islam nella storia moderna».
Ci sono sicuramente molte ombre su cui far luce nella storia dell’islam. I tabù sono tanti e la censura è molto forte, ma, oltre agli ultimi giorni del Profeta, quali sono i personaggi o gli eventi che meriterebbero una nuova rilettura storica?
«Vorrei rispondere: tutto nella storia dell’islam meriterebbe una nuova rilettura, perché la storia dell’islam è stata schiacciata troppo a lungo sotto il peso della leggenda che mostra personaggi santificati, idealizzati. Ora è necessario rileggere - e riscrivere - tutto, in modo tale da riportare quei personaggi alla loro umanità e mostrare che hanno un lato glorioso e un lato poco glorioso, come in fondo tutti i protagonisti della storia. L’islam sfortunatamente ha per troppo tempo confuso la mitologia e la storia, ed è giunto il momento di distinguerle».
Ha già avuto proposte per una edizione del suo libro in lingua araba?
«La traduzione in arabo è all’ordine del giorno. Probabilmente verrà pubblicato presto».