La Stampa 8.12.18
La Francia in ginocchio
di Cesare Martinetti
Ecco
una classe che si comporta bene («qui se tient sage») dice in
sottofondo la voce del poliziotto anonimo nel video che ci arriva dalle
Yvelines, banlieue di Parigi, non certo la peggiore. Ma noi, una classe
così ci ricordiamo di averla vista in Cina durante la rivoluzione
culturale o in Cile durante il golpe di Pinochet, o da qualche altra
parte, qualunque, che non fosse la Francia. Ragazzi in ginocchio, le
mani legate dietro la schiena, qualcuno - i più «cattivi»? - con la
faccia contro il muro ad aspettare la punizione. Saggi? Domati, come
ribelli da umiliare, pronti alla punizione collettiva, un autodafé.
E
invece ci siamo, Mantes-la-Jolie, liceo Saint-Exupéry diventato da ieri
un altro pezzo simbolico del puzzle di parossismi che sta incendiando
la Francia.
Quei ragazzi che vediamo inginocchiati non erano certo stati «saggi», ma dubitiamo che lo saranno d’ora in poi.
Bisogna
esserci stati in quelle banlieues per riconoscere i gelidi elementi di
décor semi-urbano che le caratterizzano, il vuoto d’orizzonte
circoscritto dalle sagome bianche dei condomini-torre delle cités.
E
invece no, pochi chilometri dal cuore di Parigi, si arriva col treno
che parte dalla Gare di Saint-Lazare, si attraversa una giungla di
cemento «taggata» da infiniti graffiti, quasi un geroglifico che
scandisce come un rap ininterrotto quella Francia che bolle sotto la
crosta della Francia. Uno di quei pezzi di mondo che emergono dalla
rivolta di questi «gilets jaunes», attesi e temuti per il quarto sabato
consecutivo nel cuore della capitale, là dove i fuochi della protesta si
sono mangiati le «lumières» delle feste che dovrebbero arrivare.
Mentre
i servizi segreti diffondevano inquietanti allarmi su tentativi di
golpe da parte dei gilets jaunes i poliziotti delle Yvelines
rispondevano con quest’azione esemplare contro i ragazzi del liceo
Saint-Exupéry. I quali, il giorno prima, stando ai testimoni citati dai
giornali, avevano svolto con perizia e determinazione un esercizio di
guerriglia che poteva finire molto male. Si legge su Le Monde che mentre
i compagni tiravano pietre e altro sui poliziotti, un gruppo di questi
giovanotti hanno rubato una decina di bombole di gas dal deposito di un
condominio e le hanno gettate tra le fiamme di una pattumiera
incendiata. Non sono esplose. Per fortuna.
Ma intanto, violenza
tira violenza e sembra una spirale fatale, in Francia, radicata nel Dna
della sua storia, le esplosione della «colère» sociale sono infinite.
Come spiega il politologo Marc Lazar in un’intervista sul «Figaro», c’è
«un’attrazione quasi romantica per la violenza purificatrice e i
riferimenti al Maggio ’68 sono automatici nella speranza di un esito
radicale». C’è nell’inconscio collettivo francese una propensione a
legittimare e addirittura a esaltare la violenza nel nome del vecchio
precetto «ribellarsi è giusto» che - ricorda Lazar - spingeva i maoisti
degli Anni 70 a sostenere le azioni violente idealmente uniti agli
artigiani e ai commercianti che oggi rifiutano il liberalismo politico e
la democrazia rappresentativa.
Bisognerebbe saper distinguere,
scriveva ieri su «Libération» Said Benmouffok, ex allievo e poi ex
insegnante del liceo Saint-Exupérix, tra i provocatori e i ragazzi di
Mantes-la-Jolie che nella stragrande maggioranza vogliono soltanto
«riuscire nei loro studi». In altre parole riscattare l’emarginazione
ancestrale. Sarà utile allo scopo la punizione collettiva dell’altro
giorno? Duecento fermi (quasi tutti poi rilasciati), molti tra i minori,
in quest’esercizio autoritario di pedagogia statale servirà? Difficile
pensarlo, ma si capisce che è anche difficile per la polizia affrontare
tanta «colère».
Però questi comportamenti, scriveva ieri il
direttore di «Le Monde» Jerome Fenoglio, servono soltanto a spargere
un’immagine di guerra che invece andrebbe spezzata. E invece anche il
presidente Macron e il suo ministro dell’Interno hanno dato
l’impressione di saper solo alimentare la tensione. E oggi sarà un’altra
giornata difficile.