martedì 4 dicembre 2018

La Stampa 4.12.18
Mariupol fra blocco navale e la paura dell’assalto russo
“Stanno strozzando la città”
di Giuseppe Agliastro


Prospekt Miru. Viale della Pace. Si chiama così la strada principale di Mariupol. Un nome che si spera sia di buon auspicio, perché Mariupol adesso è una città messa in ginocchio dalla guerra.
Gli ucraini temono che possa essere il prossimo obiettivo di Putin nel caso di una nuova offensiva dei separatisti filorussi: è un centro di grande importanza economica e strategica, il fronte dista pochi chilometri e la sua conquista potrebbe unire la Crimea occupata dalla Russia ai territori del Sud-Est ucraino in mano ai ribelli. Accuse «assolutamente assurde», ribattono dal Cremlino.
Ma a strozzare questa città di mare di 450.000 abitanti e il suo porto - come denunciando in molti - sono adesso il ponte di Crimea e il presunto «blocco navale» provocato dallo scontro tra Mosca e Kiev attorno al Mare d’Azov: un fazzoletto d’acqua chiuso tra la penisola sul Mar Nero, il Donbass in guerra e la Russia meridionale. È proprio sul Mare d’Azov che si affaccia Mariupol, vera porta marittima del Donbass. Da qui l’Ucraina esportava nel mondo carbone, acciaio e cereali. Ma lo scalo è ora ridotto a un deserto di vecchie gru immobili davanti al mare gelato.
Le merci non arrivano più
Dalla collina che domina la baia, un territorio vasto 75 ettari, si vedono sì e no due o tre navi. La colpa è della guerra nel Sud-Est ucraino. Se nel 2013 dal porto di Mariupol transitavano 15,5 milioni di tonnellate di merci, nel 2017 erano appena 6,5. La situazione è però precipitata quest’anno, dopo l’inaugurazione del ponte che unisce la Russia alla Crimea attraversando lo Stretto di Kerch, cioè l’unica via d’accesso al Mare d’Azov.
Secondo il direttore dell’Istituto navale del Mare d’Azov, Aleksandr Lisiy, è proprio il ponte il vero problema. «É alto appena 35 metri - spiega - e molte navi di grande tonnellaggio adesso non possono più raggiungere il nostro porto. Si tratta del 30 o del 40% dei vascelli che prima attraccavano regolarmente a Mariupol».
Il controllo di Kerch
Il controllo del Cremlino sullo Stretto di Kerch è ora virtualmente totale. La dimostrazione si è avuta a fine novembre, durante lo scontro sullo stretto tra le forze navali di Mosca e quelle di Kiev.
Ai russi è bastato piazzare una nave cisterna sotto il ponte per impedire l’accesso al Mare d’Azov non solo ai tre piccoli battelli militari ucraini poi catturati con il loro equipaggio, ma in pratica a qualsiasi imbarcazione. Questo episodio ha scatenato una nuova escalation nella crisi tra Russia e Ucraina.
I tank di Poroshenko
È però da mesi che Mosca rallenta il traffico marittimo nella zona con controlli serrati sulle navi dirette verso i porti ucraini o salpate da lì. Per Mariupol potrebbe essere il colpo di grazia. La settimana scorsa, il governo ucraino ha denunciato che 18 navi sono state bloccate e restano in attesa di poter attraversare lo stretto di Kerch.
«Da maggio a novembre - accusa Kiev - la Russia ha compiuto circa 750 fermi illegali di navi». Per il Cremlino non è vero nulla. La Russia - ha ribattuto il portavoce di Putin - non sta bloccando il traffico marittimo, le uniche interruzioni «sono dovute al maltempo».
Il quartiere del porto è costellato di edifici abbandonati e magazzini vuoti. Non c’è traccia di camion diretti allo scalo per scaricare le loro merci. In compenso, domenica sono sbarcati a Mariupol decine di carri armati delle truppe ucraine. Il presidente Petro Poroshenko sostiene che i russi stiano ammassando truppe al confine e così ieri ha annunciato una parziale chiamata in servizio dei riservisti per attività di addestramento e ha ribadito l’invito alla Nato a rafforzare la sua presenza nel Mar Nero.
Mariupol è insomma al centro delle tensioni tra Mosca e Kiev. Le vie della città sono piene di militari, e chi arriva alla stazione ferroviaria dopo tante ore di treno – da Kiev ce ne vogliono 18 – non può non notare i poliziotti di pattuglia col mitra spianato.
Eppure, secondo la gente del posto, l’introduzione della legge marziale, decisa una settimana fa, non ha cambiato molto. Per molti «è solo politica».
«Temiamo un’offensiva»
Viale della Pace è poco illuminato ed è reso scivoloso dal ghiaccio. C’è però chi non rinuncia a una passeggiata nel parco dietro al teatro comunale. Alyona ha 26 anni e tiene in braccio la sua bambina. Dice di sentirsi ucraina e pensa che a provocare la guerra sia stato Putin. «Certo che temiamo una nuova offensiva dei separatisti - spiega - ma non sappiamo se e quando avverrà. Per ora viviamo alla giornata». «Parlo russo e mi sento russo», racconta invece Andrey, un uomo sulla quarantina. Per lui la rivolta di Maidan è stato «l’errore che ha scatenato questo caos».
«Le rivoluzioni - dice - non portano mai nulla di buono». Aleksey ha 25 anni e non nasconde di aver simpatizzato per i separatisti quando questi hanno occupato la città. «Ma ora – assicura – ho capito che Mariupol è ucraina, e dopo che i razzi dei miliziani hanno fatto strage di civili nel 2015 ho capito anche un’altra cosa: l’unica cosa che voglio è la pace».