martedì 4 dicembre 2018

il manifesto 4.12.18
Netanyahu, un premier sull’orlo di una crisi di nervi
Israele . Il primo ministro israeliano ha reagito con rabbia e rivolgendo accuse pesanti agli organi inquirenti dopo la terza richiesta di incriminazione per corruzione che la polizia ha presentato al procuratore generale Mandelblit
di Michele Giorgio


GERUSALEMME Benyamin Netanyahu ieri ha provato a mostrarsi calmo e concentrato sull’incontro che avrebbe avuto sull’Iran in serata a Bruxelles con il Segretario di stato americano Mike Pompeo. Ma non ce l’ha fatta a mantenersi freddo. Ad un certo punto è esploso, lasciandosi andare a commenti scomposti contro polizia e magistratura, al limite dell’isteria come ha fatto notare Yossi Verter sul sito di Haaretz. Un segno evidente che la terza richiesta di incriminazione per corruzione contro di lui presentata domenica dalla polizia gli ha fatto capire che le possibilità di cavarsela sono davvero poche.
La carriera politica di Netanyahu, da quasi 10 anni ininterrottamente al potere, potrebbe arrivare al capolinea nel giro di qualche mese. Non perché rischia di perdere le elezioni che si terranno il prossimo anno. I sondaggi, anche con le accuse di corruzione, lo danno sempre in cima alla lista dei politici preferiti dagli israeliani. E non è in bilico per aver incarnato l’ultranazionalismo imbevuto di religione che governa Israele e che esclude un compromesso territoriale con i palestinesi da 51 anni sotto occupazione militare. E neppure perché continua ad insistere, in accordo con l’Amministrazione Trump, sulla possibilità di una guerra all’Iran pur sapendo che avrebbe conseguenze devastanti in Medio oriente. E non sarà la causa della sua caduta la legge antidemocratica che tanto Netanyahu ha voluto su Israele-Stato della nazione ebraica che, nero su bianco, ha tracciato una divisione netta, carica di insidie, tra i cittadini ebrei e quelli arabi. Netanyahu paradossalmente potrebbe farsi da parte perché ha accettato regali costosi da amici miliardari alla ricerca di un occhio di riguardo per i loro investimenti e per aver tentato guadagnarsi i favori di un quotidiano, lo Yediot Ahronot, e di un portale d’informazione, Walla, che di solito lo attaccano.
Il capo della polizia uscente, Roni Alsheich, due giorni fa ha chiesto che il primo ministro sia processato nell’ambito nel cosiddetto “Caso 4000”. È sospettato – in qualità di ministro delle comunicazioni, oltre che premier, negli anni dal 2014 al 2017 – di essere intervenuto per favorire Shaul Elovitch, azionista di maggioranza del gigante delle telecomunicazioni Bezeq e proprietario di Walla, in cambio di una copertura mediatica favorevole per lui e la moglie Sarah (inquisita in un’altra inchiesta). È, più o meno, la stessa ipotesi di reato del “Caso 2000”: Netanyahu avrebbe chiesto al direttore del quotidiano Yediot Ahronot di smettere di attaccarlo in cambio di provvedimenti restrittivi nei confronti del giornale rivale Israel HaYom, che pure è considerato il megafono del governo. Ci sono prove – dice la polizia – «che Netanyahu e quelli più vicini a lui siano intervenuti in modo evidente sui contenuti pubblicati da Walla».
Spetta al Procuratore generale Avichai Mandelblit decidere se andare al processo. Netanyahu con le accuse di «caccia alle streghe» rivolte ieri alla polizia, non si è certo fatto un favore. E disastrose per la sua posizione sono state anche le parole usate da un suo fedelissimo, David Amsalem, che ha parlato di «tentativo di colpo di stato». Mandelblit ha difeso ed elogiato le indagini svolte dalla polizia e ha categoricamente negato di voler prendere tempo in modo da far coincidere la sua decisione con le elezioni. I laburisti, il Meretz e altre forze di opposizione da parte loro chiedono che Netanyahu si dimetta subito. Spiegano che un primo ministro di cui è stata chiesta per tre volte l’incriminazione per corruzione non può rimanere al suo posto.