domenica 2 dicembre 2018

La Stampa 2.12.18
Checkpoint e legge marziale
Viaggio nell’Ucraina che teme l’invasione russa
Gli abitanti all’Europa: ci sostenga di più e aumenti le sanzioni alla Russia Poroshenko: Mosca sta schierando 80 mila soldati e l’artiglieria al confine
di Giuseppe Agliastro


Nel centro di Kiev la vita sembra scorrere tranquillamente. Passeggiando per le vie innevate della città, non si direbbe che l’Ucraina sia un Paese in guerra. Bar e negozi riversano su viale Khreshatyk luci colorate e musica a tutto volume. Il conflitto nel Donbass sembra appartenere a un altro mondo o a un’altra epoca. Basta però parlare con la gente del posto, dare un’occhiata ai telegiornali locali, per accorgersi subito che la guerra contro i miliziani filorussi è, e soprattutto è tornata ad essere, la prima preoccupazione per milioni di ucraini.
Lo scontro navale di una settimana fa al largo della Crimea ha riacceso il timore di un’invasione russa in una popolazione che si sente parzialmente protetta dalla Nato, ma sacrificata in cambio del gas di Putin dall’Unione europea. Da quella stessa Unione europea in nome della quale cinque anni fa è scoppiata la rivolta di Maidan. È da lì che tutto ha avuto inizio. Gli eventi si sono susseguiti rapidamente come in una reazione a catena. La fuga del presidente filorusso Yanukovich. L’invasione russa della Crimea con uomini armati e senza insegne di riconoscimento. E infine la guerra nel Sud-Est ucraino, dove il Cremlino sostiene militarmente i separatisti. In quattro anni e mezzo di combattimenti sono morte 10.300 persone. Un milione e mezzo sono state costrette ad abbandonare le loro case. Il conflitto si riaccenderà dopo la cattura da parte dei russi di tre navi militari ucraine e dei loro equipaggi? A Kiev tanti sono convinti di sì.
«Attaccheranno»
Viktor si trascina con i suoi stivali e la mimetica tra la neve alta davanti al Teatro dell’Opera. È un militare di leva di 22 anni. «I russi attaccheranno, ma noi li respingeremo», dice. «Non ho paura», assicura orgoglioso davanti alla sua ragazza. Del resto non è mai stato sul fronte e non ha mai visto la guerra coi propri occhi. «Non mi aspetto mica che i carri armati russi arrivino a Kiev. Altrimenti interverrebbero gli americani e la Nato e scoppierebbe la terza guerra mondiale. Attaccheranno di nuovo nel Donbass. Ma alla fine vinceremo noi». Viktor viene da Kharkiv, nell’Est russofono. «Ma l’esercito - spiega - sta unendo il Paese e io considero fratelli tutti i miei commilitoni, anche quelli dell’Ovest» più nazionalista.
Marina ha 41 anni. Fa la commessa in un negozio di vestiti, ma sotto il cappotto indossa un vecchio maglione consunto. «Un attacco - afferma - è possibile in qualunque momento. Però mi auguro che non avvenga. Siamo stanchi della guerra, vogliamo la pace». L’Unione europea? «Dovrebbe sostenerci di più, imporre più sanzioni alla Russia. Ma ha paura di far arrabbiare Putin e perdere le forniture di metano russo. Mi pare che ora anche la Germania - dice riferendosi al Nord Stream 2 - stia costruendo una nuova conduttura sotto il Baltico per importare più gas dalla Russia». Per Marina la soluzione è una sola: l’ingresso nella Nato e nell’Unione europea. Ma la via per ora è di fatto bloccata dalla guerra.
Poteri accentrati
Anche Taras, un maestro elementare di 37 anni, si aspetta un’offensiva o «una nuova provocazione». Ma lui ha le idee chiare anche sui tempi: prima del 26 dicembre, data in cui scade la controversa legge marziale introdotta dal presidente Petro Poroshenko in dieci regioni «a rischio». «Putin - dice Taras - vuole colpire l’Ucraina e farla vacillare prima delle presidenziali del 31 marzo in modo da costringere a rimandare il voto e minare alla base la nostra democrazia». Praticamente ribalta le accuse rivolte a Poroshenko dal Cremlino di aver cercato lo scontro sul Mar Nero a fini elettorali. Le parole di Putin non sono supportate da alcuna prova. Ma sono in tanti, anche in Ucraina, a sospettare che il capo di Stato stia cercando di sfruttare la crisi per aumentare la sua bassa popolarità in vista delle presidenziali. Dopo il raid navale russo, Poroshenko voleva introdurre la legge marziale per 60 giorni. Una decisione che avrebbe potuto costringere a rimandare il voto. Alla fine il Parlamento si è imposto. La legge marziale è stata introdotta per 30 giorni e solo in alcuni territori. Il presidente ucraino ha promesso di non procrastinare le elezioni e di ridurre le libertà fondamentali solo in caso di invasione nemica.
«Ma che avverrà in caso di attacco?» si chiede di nuovo Taras. E si dà subito anche la risposta: «Secondo me prolungheranno la legge marziale e rimanderanno le elezioni».
I militari al confine
Per ora Poroshenko continua a farsi vedere in tv in divisa e circondato dai militari. Sfrutta quanto può il suo ruolo di comandante in capo delle forze armate. Le sue dichiarazioni allarmano gli ucraini. Ieri ha denunciato che i russi hanno schierato lungo la frontiera «oltre 80.000 soldati, 1.400 pezzi di artiglieria, 900 carri armati, 2.300 mezzi blindati, 500 jet e 300 elicotteri». Difficile dormire sonni tranquilli con questi numeri. Ma non per questo a Kiev tutti condividono l’introduzione della legge marziale. «Meglio tardi che mai», è il commento di una signora sui 50 anni. Mentre per il 62enne Andriy è solo una mossa politica. «Semmai - sostiene - doveva farlo prima, nel 2014 o nel 2015, quando il Donbass era un inferno».
Prigionieri politici
Divide anche il nuovo divieto di ingresso in Ucraina imposto agli uomini russi dai 16 ai 60 anni. Cioè a tutti coloro in teoria in grado di combattere. C’è chi ormai considera nemici tutti i russi. Come il giovane Denis. «Ha fatto bene. Se ne stiano a casa loro». E chi, come Vladimir, accusa il governo ucraino di populismo. «Mio figlio - racconta - vive in Russia ed è cittadino russo. Ho 74 anni e non ho paura di dire quello che penso: è una carognata».
In due giorni, circa 100 russi sono stati respinti alla frontiera. Tra loro c’è Kostja, che ha viaggiato in aereo con me da Mosca a Riga e poi da Riga a Kiev. Ha una trentina d’anni ed è un dissidente. Sullo zaino ha un adesivo in cui si chiede la liberazione del regista ucraino Oleg Sentsov, in carcere in Russia e considerato da molti un «prigioniero politico». Kostja mi mostra alcune foto in cui manifesta contro il Cremlino. In una stringe in mano un cartello con la scritta «No alla guerra in Ucraina». Ma la legge è uguale per tutti. All’aeroporto di Kiev le guardie lo hanno subito bloccato al controllo passaporti.