il manifesto 2.12.18
La Milano antirazzista, contro la legge Salvini e i centri per i rimpatri
Immigrazione.
Migliaia di persone in piazza per dire no al Cpr in via Corelli. Un
corteo per nulla istituzionale e un risultato oltre le aspettative. Tra
le duecento associazioni che hanno aderito, tante quelle cattoliche.
Bandiere di Prc, Leu e Pap
di Roberto Maggioni
«Iniziamo
da qui» urla un ragazzo dall’impianto montato sul camion alla fine
della manifestazione. «È l’inizio di una campagna che impedirà la
riapertura di questo lager. Oggi a Milano, domani in altre città». Dal
ponte pedonale poco sopra alla sua testa viene calato uno striscione
nero con scritto in bianco «No Cpr».
La banda della Murga milanese
forma al ritmo dei tamburi un grande girotondo, in mezzo un bambino
cinese si improvvisa coreografo e dirige le danze. Una ragazza sorregge
un cartello con scritto sopra «sono irregolare ma non per scelta». Il
corteo si ferma a 500 metri dal centro di accoglienza di via Corelli che
sarà chiuso per essere trasformato in Cpr (centro di permanenza per il
rimpatrio), dopo aver percorso alcuni chilometri nella zona est della
città.
IN PIAZZA 20 mila persone per gli organizzatori, qualche
migliaio in meno in realtà, ma di sicuro tante e non era scontato per un
tema specifico come quello dei Cpr. Un corteo senza alcuna ambiguità,
chi era in piazza ieri a Milano c’era anche due anni fa contro i centri
di detenzione in Libia e l’istituzione dei Cpr fatta dall’ex ministro Pd
Minniti. C’erano allora e ci sono stati oggi, con la consapevolezza che
però tutto sta peggiorando. In piazza non c’era il Pd,
l’amministrazione del sindaco Sala ha sostanzialmente ignorato questa
mobilitazione che non è stata supportata neanche dalla rete Insieme
Senza Muri vicina all’assessore ai servizi sociali Pierfrancesco
Majorino, da sempre contrario alla riapertura del Cpr. Molte delle
associazioni che fanno parte della rete hanno però aderito ed erano
presenti.
È STATA QUINDI una manifestazione per nulla
istituzionale ma non «antagonista». I centri sociali c’erano, insieme
alle 200 associazioni che hanno dato la loro adesione. Tra queste, tante
cattoliche. Qualche bandiera di partito c’era, Rifondazione comunista,
Liberi e Uguali, Potere al Popolo, ma è stata una manifestazione lontana
dai partiti fatta di persone stanche dell’incapacità della sinistra di
reagire all’egemonia della destra. Tanti gli studenti, lo spezzone
d’apertura, per un corteo con un’età media piuttosto bassa. Una
generazione abituata a viaggiare per il mondo senza problemi che sta
crescendo in un paese che chiude i confini.
C’erano gli insegnanti
delle scuole di italiano per stranieri, gli operatori dei centri
d’accoglienza. Anche quelli del centro di via Corelli dove vivono 300
persone, erano 350 fino a pochi giorni fa. «Alcuni se ne sono andati per
conto loro, non hanno voluto aspettare la chiusura. Altri sono stati
trasferiti in altre città e hanno rotto i legami che avevano creato qui»
dice Andrea della scuola di zona che insegna italiano anche ai
richiedenti asilo di via Corelli. C’era anche qualcuno che diciotto anni
fa aveva partecipato alla grande mobilitazione del 29 gennaio 2000
contro gli allora Cpt, i centri di permanenza temporanea istituiti dalla
legge Turco-Napolitano. «Quel giorno però ci fermarono con cariche e
lacrimogeni sul ponte prima di via Corelli» raccontano Anna e Niccolò
proprio mentre quel ponte lo attraversiamo. «Avevamo le tute bianche,
allora, e gli scudi-canotto ad aprire il corteo». Un’altra epoca,
un’altra Milano. «Forse siamo troppo poco incazzati» dice un’altra
ragazza.
MILANO HA UNA CERTA abitudine a mobilitarsi sul tema
dell’immigrazione, è una consapevolezza diffusa pre-politica che è
storicamente parte della città. Il risultato raggiunto ieri va però
oltre le aspettative di chi si è mosso per organizzare questa giornata.
Una manifestazione per lo più ignorata nei giorni precedenti dai media,
che non ha avuto alcun supporto istituzionale, ma che è riuscita ad
andare oltre i circuiti militanti. «Questo deve essere solo l’inizio»
dicono Luciano Muhlbauer e Davide Salvadori, tra i portavoce di No Cpr.
«Salvini vorrebbe aprire un Cpr in ogni regione e troverà in ogni
regione qualcuno a impedirglielo. Deve diventare un problema nazionale».
La cornice è quella del decreto sicurezza-immigrazione che nei giorni
scorsi l’Anpi ha definito «apartheid giuridico». «Sono provvedimenti che
creano segregazione, separazione tra italiani e non» dice anche Daniela
Padoan di Osservatorio Solidarietà. «E non è solo una questione di
leggi, i contesti fanno i testi. E il contesto oggi è quello di un
attacco costante all’umanità, alla solidarietà e ai diritti».