il manifesto 2.12.18
Migliaia in corteo a Roma contro mafie e povertà
Uno
di noi, Una di noi. Da Libera all’Arci alla Cgil e tante esperienze di
mutualismo. De Marzo (Rete dei Numeri pari): «Costruiamo un’alleanza
sociale»
di Rachele Gonnelli
«Riconoscersi e
ribellarsi contro disuguaglianze, mafie e razzismo» diceva lo striscione
di testa della manifestazione che ha sfilato ieri per le strade del
centro di Roma.
MIGLIAIA DI PERSONE, diecimila secondo gli
organizzatori, per un corteo cittadino che da piazza della Repubblica ha
impiegato circa tre ore per concludersi sotto l’Altare della patria. Lì
all’imbrunire sono risuonate le parole della staffetta partigiana Tina
Costa, 93 anni, quasi gridate dal palco, a spiegare in modo semplice il
senso e l’unitarietà di una piattaforma che a prima vista potrebbe
sembrare eterogenea, passando dal rifiuto del decreto Salvini al No al
decreto Pillon, dalla difesa della Casa internazionale delle donne dalle
mire della giunta Raggi alla lotta contro il caporalato nei campi
intorno a Pomezia, sul litorale, fino alla resistenza agli sgomberi di
case e spazi, urbani e suburbani, occupati dai movimenti per il diritto
all’abitare, sgomberi promessi dal Campidoglio ma sotto la guida del
Viminale. «Noi siamo qui contro l’ingiustizia e contro questo governo,
siamo qui per riprenderci i diritti che ci hanno rubato da trent’anni e
ora anche la democrazia, che vuol dire servizi sociali, lavoro e libertà
come dice la Costituzione, siamo qui contro il risorgere di un nuovo
fascismo», ha detto la partigiana invitando tutti i presenti a «prendere
le bici e pedalare» perché «possiamo ancora vincere».
MANIFESTAZIONE
UNITARIA e combattiva, anche se non bellicosa – infatti non c’è stata
la minima tensione nonostante l’ampio schieramento di blindati e forze
dell’ordine – che ha mobilitato un fronte ampio di forze sociali: dalla
Cgil, presente in piazza con tantissime categorie, all’Arci, alla Rete
romana degli studenti medi, a Libera, all’Anpi romano, a tantissimi
comitati di quartiere, realtà di base, cooperative sociali,
associazioni. Con una massiccia presenza di immigrati, tra cui
tantissime donne con bambini in passeggino o in braccio.
«A UN
PASSANTE DISTRATTO il nostro può sembrare un blocco sociale informe, in
realtà qui sono rappresentate le nuove soggettività, dove si mischiano
rivendicazioni anche diverse, tenute insieme dalla consapevolezza che
nessuno vince da solo – spiega Giuseppe De Marzo della Rete dei Numeri
pari – stiamo costruendo una alleanza ampia che parte dai territori, dal
lavoro comune, da iniziative concrete di nuovo mutualismo. È un lavoro
duro ma anche le forze politiche devono capire che è l’unico possibile
per combattere l’avanzare della destra e siamo ancora all’inizio».
CONTRO
LE DISUGUAGLIANZE e contro le mafie, dunque. Perché c’è un nesso che va
spiegato, sciolto, tra il decreto-sicurezza di Salvini e l’operato
degli ultimi due anni della giunta pentastellata in Campidoglio. «In una
città dove ci sono 94 clan e 100 piazze di spaccio le mafie si
sostituiscono allo Stato con un welfare criminale – continua De Marzo –
interi quartieri sono dominati da una economia mafiosa, la mafia è tanto
più forte quanto più ampia è la povertà e la marginalità sociale ma
questo non succede per un virus o una meteorite, viene dalla chiusura
degli spazi sociali e dei servizi, si nutre delle corresponsabilità
istituzionali, nella zona grigia».
L’amministrazione capitolina ha
appena presentato il bilancio comunale di previsione e da una analisi
fatta dal Cresme per Libera – anticipata a il manifesto – risulta che
quasi tutti i capitoli di spesa per servizi sociali, dagli asili agli
interventi per il diritto alla casa ai disabili, sono stati pesantemente
decurtati per un taglio complessivo di oltre 478 milioni di euro,
mentre le varie associazioni ancora attendono una convocazione per
discutere fattivamente del nuovo regolamento per l’assegnazione dei beni
confiscati alle organizzazioni criminali.
«IL DECRETO-SICUREZZA
crea solo più emarginazione e più irregolari che servono da manodopera
alle mafie, è incostituzionale e noi non lo rispetteremo», dice
nettamente Claudio Graziano dell’Arci. Un cartello alle sue spalle
recita: «Il freddo uccide, sappiamo chi è stato». Tre giorni fa un
clochard è morto a San Lorenzo: su 8 mila persone che ogni notte dormono
in strada ci sono solo 2.500 posti letto del Comune, che invece di
potenziarli dieci giorni fa non ha trovato di meglio da fare che
procedere invece allo sgombero dell’accampamento di fortuna gestito dai
volontari dell’associazione Baobab Experience.