La Stampa 28.12.18
Tra morti, feriti e violenze
Il Bangladesh scivola verso l’autoritarismo
di Francesco Radicioni
La
strategia è consolidata: una ventina di giovani con volto coperto,
mazze e bastoni in mano, attacca le manifestazioni dell’opposizione,
malmenando gli attivisti del Jatiya Oikya Front.
Mentre
mancano pochi giorni alle elezioni generali del 30 dicembre per il
rinnovo del parlamento di Dacca, nelle strade del Bangladesh è tornata a
infuriare la violenza politica. «Non ho mai visto una situazione simile
in vita mia» dice, nella sede del Bangladesh Nationalist Party,
Moshihour Rahman, dirigente della principale forza d’opposizione del
Paese dell’Asia meridionale. Mentre i feriti sono centinaia e le vittime
almeno otto, il Bnp denuncia «il clima di paura» creato
dall’amministrazione e dalla polizia per spingere gli elettori a non
andare a votare. «Al di là di chi vincerà le elezioni - aggiunge
Moshihour Rahman - a perdere sarà il Bangladesh: senza più diritti
costituzionali e libertà democratiche». Se l’opposizione dice di non
poter condurre la propria campagna elettorale, in realtà a Dacca c’è un
forte fermento politico.
Nelle polverose e caotiche strade intorno
alla Moschea Baitul Mukarram spuntano dal nulla i cortei dei
sostenitori di un partito. Nella tentacolare città vecchia i manifesti
elettorali assomigliano a festoni appesi per animare i vicoli
fatiscenti. Anche nel quartiere diplomatico di Gulshan i megafoni sui
risciò gracchiano incessanti il nome di un candidato. Solo osservando
con attenzione si nota che quasi sempre c’è il simbolo della Lega Awami
al governo: una barca tradizionale del Bangladesh. Pochi si aspettano
una sorpresa dalle urne.
Nessuna sorpresa
Stando ai
sondaggi, la coalizione della Lega Awami di Sheikh Hasina potrebbe
raccogliere il 60% dei consensi. Capo del governo e figlia dell’eroe del
nazionalismo bengalese Mujibur Rahman, Hasina è già stata primo
ministro dal ’96 al 2001, poi ininterrottamente negli ultimi dieci anni.
I risultati delle sue amministrazioni sono evidenti: l’economia è
cresciuta a una media del 6%o l’anno, milioni di bengalesi stanno
uscendo dalla povertà, il Paese è un sempre più importante hub nelle
catene globali del valore del tessile.
Luci ed ombre
Nell’ultimo
anno davanti alla comunità internazionale Hasina ha presentato se
stessa come «la madre dell’umanità» dopo che il Bangladesh ha accolto
quasi un milione di rifugiati Rohingya in fuga dalle violenze in
Myanmar. Come però denunciano le organizzazioni internazionali, mentre
si restringono gli spazi per la libertà di espressione, il Bangladesh
sta lentamente scivolando verso l’autoritarismo. Leggi draconiane sulla
stampa, omicidi extra-giudiziali e sparizioni forzate, mentre
dall’inizio di novembre sarebbero oltre 10 mila i candidati e gli
attivisti del Bnp e del movimento islamista Jamaat-e-Islami finiti in
manette. Uso politico della giustizia che secondo l’opposizione è
diventato ancor più evidente dopo il processo a Khaleda Zia - due volte
primo ministro e storica leader del Bnp - condannata negli ultimi mesi a
diversi anni di carcere per corruzione. Con la leader dell’opposizione
dietro le sbarre, si pensava che - come già avvenuto all’inizio del 2014
- il Bnp avrebbe boicottato le elezioni, facendo temere un nuovo bagno
di sangue paragonabile a quello di cinque anni fa. Invece, a sorpresa il
principale partito d’opposizione si è unito a una composita alleanza
guidata da Kamal Hossain: classe 1937, avvocato e tra gli estensori
della costituzione del Bangladesh, ma soprattutto ex ministro della Lega
Awami passato nelle fila degli avversari di Hasina.
Il peso geopolitico
Nella
comunità diplomatica di Dacca cresce la preoccupazione su cosa avverrà
dopo il voto di domenica, anche perché il Bangladesh ha un posto sempre
più rilevante nelle mappe della geopolitica mondiale: quasi 170 milioni
di abitanti, ottava nazione al mondo per popolazione e terzo più grande
Paese musulmano. A pesare c’è anche la posizione geografica: affacciato
sul Golfo del Bengala e snodo delle rotte commerciali tra Cina, India e
Sud-Est asiatico. Se l’amministrazione di Donald Trump ha scelto la
retorica dell’Indo-Pacifico libero e aperto per contenere l’espansione
della Cina nella regione, il Bangladesh è affamato degli investimenti e
delle infrastrutture della Repubblica Popolare. Il Paese dell’Asia
meridionale è anche lo snodo fondamentale del corridoio
Bangladesh-Cina-India-Myanmar - lungo la leggendaria Burma Road - che
consentirà l’integrazione economica tra Calcutta e Kunming, capitale
della provincia cinese dello Yunnan. Dacca spera che il collegamento
terrestre tra i due più popolosi Paesi del mondo possa portare in
Bangladesh centinaia di milioni di dollari in investimenti. Finora
l’amministrazione di Sheikh Hasina ha mantenuto un fragile equilibrio
tra Cina, India e Stati Uniti. «Vogliamo investimenti e cooperazione da
chiunque ce li offra», ha detto la primo ministro.