il manifesto 28.12.18
Budapest, il difficile risveglio
Scaffale.
«L'altra Ungheria» di Massimo Congiu, per Bonomo editore. Undici
conversazioni con altrettante personalità politiche e culturali
ungheresi per indagare tra i solchi della società
di Cristina Carpinelli
Undici
personalità ungheresi provenienti da diversi settori della vita
politica e culturale sono state intervistate da Massimo Congiu nel suo
volume Un’altra Ungheria (Bonomo, pp. 145, euro 15). Le conversazioni
corrono lungo un filo conduttore, evidenziando contraddizioni e
difficoltà che affliggono la società ungherese, ostaggio – per gli
intervistati – di un sistema autoritario o, per dirla alla Orbán, di una
«democrazia illiberale», che – se dal punto di vista semantico è un
ossimoro – empiricamente rappresenta una realtà in crescita. Per il
premier ungherese, la democrazia illiberale costituisce l’unico sistema
che rende grandi le nazioni e che si pone come modello alternativo a
quello liberale occidentale, il quale ha pervaso il mondo attraverso i
percorsi della globalizzazione, a partire dal prototipo statunitense, e
che facendosi promotore del multiculturalismo, dell’immigrazione e di
differenti modelli familiari ha prodotto una degenerazione delle società
occidentali.
ZSÓFIA BÁN e Júlia Vásárhelyi descrivono un paese
preda di clan oligarchici filogovernativi, che ne fanno uno
«stato-mafia», simile a quello russo di Putin. Il controllo pressoché
totale sugli organi di propaganda e sui mass media, fa sì che il ricorso
ai metodi della «guerriglia culturale», con l’uso di mezzi di
comunicazione insoliti, possa diventare una realtà. Più di un
intervistato ipotizza la reintroduzione dei «samizdat» (dattiloscritti
che in epoca sovietica venivano fatti circolare clandestinamente) quale
informazione alternativa a quella ufficiale. Mária Vásárhelyi ci informa
che in Ungheria, dopo le ultime elezioni, è nato il movimento «Stampa
anche tu», che si basa, appunto, su una tecnica simile a quella dei
samizdat.
Raggiungere l’opinione pubblica con un’informazione
chiara è l’antidoto giusto per risvegliare una società civile apatica e
qualunquista, soprattutto quella delle campagne, dove parole come Ue,
stato di diritto, libertà di stampa sono concetti astratti,
incomprensibili, che suscitano addirittura ilarità. Non mancano certo
segni di risveglio ma sono piuttosto deboli e circoscritti alla
capitale, Budapest. I giovani protestano se devono pagare mille fiorini
di tassa per Internet, mentre vanno all’estero quelli più colti e
critici verso il sistema.
L’OPPOSIZIONE POLITICA è considerata
debole, priva di un programma convincente e incapace di dar vita a una
rete nazionale, come ha fatto, invece, il partito di Orbán, Fidesz, con
l’idea di creare i circoli cittadini. Né i due partiti d’opposizione
emergenti, l’ironico e sarcastico, Cane a due code, e quello dei giovani
della classe media borghese di Budapest, Momentum, che guarda con
simpatia alle riforme di Macron, hanno reali chance di successo. Per
gran parte degli ungheresi le forze liberal-socialiste sono state,
insieme alle banche straniere occidentali, responsabili della crisi
finanziaria del 2008, per via dei prestiti incautamente concessi a circa
un milione di famiglie ungheresi, che avevano contratto mutui per la
casa a tassi variabili e in moneta straniera (franchi svizzeri), poiché i
tassi d’interesse erano tre volte inferiori rispetto ai mutui in valuta
nazionale. Tuttavia, con la crisi, la moneta elvetica era salita alle
stelle, il fiorino era crollato, e c’era stata di conseguenza
un’impennata dei tassi di cambio.
MOLTE DI QUESTE FAMIGLIE non
erano state più in grado di rimborsare i mutui. A quei tempi, il governo
socialista per evitare la bancarotta aveva chiesto al Fmi un piano di
aiuti di 20 miliardi di euro, in cambio di misure di rigore. Pungente è
la critica verso una classe intellettuale «autoreferenziale», incapace
di elaborare un linguaggio innovativo in grado di arrivare al cuore
della gente, e pervasa da un sentimento di frustrazione e impotenza.
Come
afferma Péter Magyar, corale è l’idea che sul breve e medio periodo la
situazione non cambierà, poiché la spinta nazional-populista non si è
esaurita ed è una tendenza mondiale. Lo scontro è tra forze illiberali
(i «veri ungheresi») e liberali («i non ungheresi»), e non tra ricchi e
poveri.
Fa riflettere, tuttavia, quello che afferma, László
Kordás, secondo cui il sindacato non è ben visto né dal mondo illiberale
«corporativista», né dal mondo liberale paladino delle libertà dei
cittadini, ma che poi affida tutto il resto al mercato. Ci vorrà, come
sostiene Congiu in conclusione del suo libro, un paziente e tenace
investimento in democrazia e solidarietà per ribaltare lo stato delle
cose.