La Stampa 28.12.18
E Di Maio fa marcia indietro sul terzo settore per non perdere consensi tra i cattolici
di Ilario Lombardo
Si
erano dimenticati di dirglielo, a Laura Castelli, che era tutto da
rifare. Anche se non subito, direttamente nella legge di Bilancio nel
suo ultimo passaggio alla Camera, per evitare di finire in esercizio
provvisorio. Oppure, molto più semplicemente, la sottosegretaria davvero
ci credeva, come ha detto, in una norma nata per stanare i «furbetti
della finta solidarietà». Un sovrapprezzo al volontariato, a sentire le
ragioni grilline, ideato anche come stratagemma per tassare la Chiesa
visto che non è stato facile trovare un’altra strada sull’Imu. «Non è
una norma sbagliata per come è stata concepita ma per come è stata
scritta», ammette l’altro sottosegretario all’Economia del M5S, Alessio
Villarosa. Sta di fatto che il cortocircuito sul passaggio più
contestato della manovra ha fatto emergere nuovamente le anime opposte
del M5S. Castelli a un certo punto della giornata è rimasta da sola a
difendere la tassa che cancella l’Ires agevolata per il Terzo settore,
portandola dall’attuale 12% al 24%: «È giusto: si presuppone che tu non
faccia utili visto che sei senza scopo di lucro. Noi tassiamo i profitti
mica i soldi della beneficenza».
L’Ires, l’imposta sul reddito
delle imprese, è da sempre dimezzata per gli istituti di assistenza
sociale, le società di mutuo soccorso, gli enti di beneficenza,
ecclesiastici e non. Un’agevolazione che premia il ruolo di
compensazione del no profit che interviene dove lo Stato non arriva. Ma
purtroppo il governo era dominato dall’urgenza di racimolare denari per
blindare il reddito di cittadinanza e tenere buona l’Europa. E, alla
fine, è stato sacrificato il Terzo settore. 157,9 milioni di euro di
gettito previsti, dirottati verso il sussidio simbolo del M5S,
costretto, ora, a cercare altrove risorse per rattoppare il buco
rimasto. Ma l’onda d’urto delle polemiche è stata più forte di tutto. Il
tempo di leggere i giornali al mattino e di qualche telefonata. E così
mentre Castelli parlava, il vicepremier Luigi Di Maio già la smentiva:
«La norma va cambiata. Mi impegno a farlo nel primo provvedimento utile.
Si volevano punire coloro che fanno finto volontariato e ne è venuta
fuori una norma che punisce chi ha sempre aiutato i più deboli». Eppure
nemmeno 48 ore prima il leader pentastellato rivendicava: «Con questa
manovra cominciamo a ridurre tutta la partita delle agevolazioni agli
enti ecclesiastici».
Il primo provvedimento utile comunque sarà il
quarto decreto attuativo della riforma del Terzo settore tra gennaio e
febbraio. Forza Italia e Pd chiedono di cancellare subito la norma, alla
Camera. «Non possiamo intervenire nella legge di bilancio - risponde Di
Maio - perché si andrebbe in esercizio provvisorio». Anche per il
premier Giuseppe Conte la retromarcia è clamorosa: «La norma va
ricalibrata. Gli enti no profit, alla luce del principio di
sussidiarietà, rappresentano uno strumento essenziale per un’efficace
politica di inclusione sociale». Solo 72 ore prima, invece, gioiva per
aver «adeguato la tassazione del no profit a quella degli altri
settori».
Tra pranzi e cenoni il regalo natalizio è risultato
indigesto e i cattolici italiani lo hanno urlato a gran voce. Il
Movimento che ha fatto della lotta alla povertà una bandiera, che si
definiva il portavoce della novella francescana, viene bacchettato dal
presidente dei vescovi, Gualtiero Bassetti, e dai frati, proprio quelli
del Sacro convento di Assisi. Per ragioni di calcolo e di sensibilità,
mentre piovono telefonate e anche il Quirinale osserva preoccupato lo
svolgersi degli eventi, Conte e Di Maio ammettono: «Abbiamo fatto una
cavolata». Il presidente del Consiglio è cresciuto nel prestigioso
collegio di Villa Nazareth, dove è di casa il segretario di Stato
vaticano Pietro Parolin, e conosce bene l’opera di assistenza ai
bisognosi. Così come è consapevole della forza della religione, lui
devoto a Padre Pio, il santo della sua terra, Foggia, dove ha appena
annunciato interventi anche per implementare il turismo dei fedeli. I
cattolici sono soprattutto un consenso esteso di cui Di Maio non può
fare a meno proprio ora che il M5S soffre una crisi nei sondaggi. E
Matteo Salvini? Era stato il primo, il giorno di Natale, ad annunciare
che si sarebbe rimediato all’errore. Così anche lui si accoda al mea
culpa di governo, seppure la tassa sul no profit sia nata proprio per
evitare l’innalzamento delle sue odiatissime accise sul tabacco.