giovedì 27 dicembre 2018

La Stampa 27.12.18
La paura per le mosse di Donald
di Mario Platero


Il mercato ha finalmente tirato il fiato. Dopo settimane di perdite colossali un recupero degli indici di Borsa americani come quello di ieri era dovuto, anche perché l’economia resta in crescita e in piena occupazione. Pensate ad esempio che le vendite natalizie del 2018 saranno fra le migliori degli ultimi anni. È però cambiata in America una dinamica di fondo: il rapporto di fiducia fra la Casa Bianca e gli investitori. Nelle ultime settimane infatti, il mercato, la Borsa in particolare, ha chiamato i bluff di Donald Trump e il presidente, al dunque, non aveva le carte in mano, cosa che ha generato non poca preoccupazione.
L’umore negativo del mercato è stato determinato da una serie di dichiarazioni e decisioni incongrue di Trump (negoziato commerciale con la Cina, ritiro delle truppe da Siria e Afghanistan, licenziamenti di John Kelly e Jim Mattis, garanti del buon senso alla Casa Bianca, chiusura del governo) fino alla domanda che ha dato il colpo finale alla Vigilia di Natale: «Posso licenziare Jerome Powell? (il governatore della Fed, ndr)». Trump lo ha chiesto al segretario al Tesoro Steve Mnuchin, che gli diceva di sì, poteva farlo anche se non gli sembrava una buona idea. Quel giorno, fra domenica e lunedì, Mnuchin diramava anche un tweet molto strano «Ho parlato coi banchieri, hanno una forte liquidità delle banche, dunque state tranquilli». Cosa tipica dell’«excusatio non petita», perché nessuno fino ad allora si era preoccupato della liquidità delle banche. Che ci fosse qualcosa che non si sapeva? Ecco perché il 24 dicembre, l’indice Dow Jones perdeva quasi il 3% e chiudeva a 21.792, la peggiore vigilia di Natale borsistica della storia. Quel giorno l’indice S&P 500 perdeva quasi il 20% dai massimi di settembre, a un millimetro dal mercato dell’orso. Ieri le perdite di lunedì sono state quasi azzerate, ma la caduta complessiva per dicembre resta fra le peggiori per un solo mese.
La dinamica Trump-Mnuchin è tipica del modus operandi della Casa Bianca. Trump vuol far credere alla sua base politica che la Fed e non altre vicende politiche o congiunturali, sia alla radice delle perdite in Borsa. Perché questo sia chiaro il presidente lo tweetta ai quattro venti. Poi se l’è presa con Mnunchin che avrebbe dovuto secondo lui rassicurare i mercati. Lo ha trattato malissimo minacciando di licenziare anche lui. Lo ha anche obbligato a scrivere quel tweet contrario a ogni regola finanziaria: «Devi rassicurare i mercati, parla coi banchieri». E Mnuchin ha eseguito. Un po’ come se il ministro della Sanità in una vigilia di Natale di perfetta calma annunciasse e sorpresa: «Non vi dovete preoccupare perché abbiamo vaccini a sufficienza contro un’epidemia di ebola». Nulla di peggio che scatenare preoccupazioni in chi quelle preoccupazioni non le aveva. Sul fronte Fed infine, una cosa è attaccare il governatore, in passato lo hanno fatto anche altri presidenti. Un’altra è metterne in dubbio l’autonomia al punto di minacciare il licenziamento di Powell.
In sostanza gli investitori, che guardano sempre al futuro, scontano non tanto un possibile imminente indebolimento dell’economia, ma le incertezze di leadership con cui si dovrà confrontare l’America da qui ai prossimi due anni di presidenza Trump. E’ l’impatto di decisioni improvvise e incongrue che potranno minare la solidità del sistema multilaterale, il predominio storico dell’economia americana, e anche accelerare l’arrivo di una recessione. Troppe decisioni solitarie, troppe affermazioni solo sulla parola, troppe ripetizioni - ieri Trump ha detto di nuovo che sarà il Messico a pagare per il muro ai confini meridionali. Eppure proprio questo presidente, avendo lanciato e gestito casinò e sale da gioco dovrebbe conoscere bene la dinamica del bluff: ogni tanto le carte ci vogliono. C’è da dire però, che tutte le sue case da gioco sono tristemente fallite.