Corriere 27.12.18
Il caso
«Trump evitò il Vietnam grazie a false diagnosi»
Parla la figlia del medico
L’inchiesta del «New York Times». E lui vola in Iraq
dall’inviata a Washington Viviana Mazza
Era
l’autunno del Sessantotto, Donald aveva 22 anni e rischiava di partire
per il Vietnam. E ancora una volta papà Fred giunse in suo soccorso. Il
presidente Trump si è spesso presentato come «self-made man» che ha
costruito il suo successo da solo, ma due mesi fa un’inchiesta del New
York Times ha rivelato che a partire dall’età di tre anni ha ricevuto
centinaia di milioni di dollari, ricavi dell’impero immobiliare di suo
padre, evadendo le tasse sull’eredità. Sempre il Times, ieri, offriva
una possibile spiegazione di come Trump abbia evitato anche il servizio
militare, grazie all’intervento di un podologo del Queens, che firmò una
diagnosi di «speroni ossei nei talloni».
Per 50 anni, scrive il
quotidiano, i dettagli della vicenda sono rimasti poco chiari e non è
stata mai svelata l’identità del medico, con Trump che in campagna
elettorale diceva di non ricordare chi avesse firmato il documento. Ora
le figlie del dottor Larry Braunstein spiegano che il certificato fu un
favore al padre di Donald, che era il proprietario dello studio
affittato dal podologo (il quale in cambio ottenne un trattamento
preferenziale). Secondo Elysa Braunstein, medico anche lei, il giovane e
atletico Donald non soffriva affatto di problemi ai talloni. Non
sarebbe la prima volta che una famiglia benestante evita che i figli
vadano in guerra, ma è chiaro che Trump non ci fa una gran figura, dopo
aver insultato veterani del Vietnam come John McCain perché «un vero
eroe non si fa catturare».
L’articolo del Times è la ciliegina
sulla torta — o meglio il carbone nella calza — che completa il Natale
cupo, solitario e rabbioso del presidente. Il vortice di eventi degli
ultimi giorni allarma i media liberal ma anche i repubblicani: la
paralisi del governo legata al rifiuto dei democratici di inserire nel
bilancio 5 miliardi di dollari per il muro con il Messico; il ritiro
improvviso dalla Siria, seguito dalle dimissioni del capo del Pentagono
Jim Mattis e dai timori per l’intera politica estera Usa. Con 800 mila
dipendenti federali rimasti senza paga e i tabloid che lo raffigurano
come il Grinch che ha rubato il Natale, il presidente è dovuto rimanere a
Washington anziché raggiungere i figli in Florida. Si è chiuso nella
Casa Bianca a guardare Fox News, lamentandosi di essere rimasto «tutto
solo (povero me)», benché Melania sia tornata apposta da Mar-a-Lago.
Alla vigilia di Natale, il presidente ha scatenato una tempesta di
messaggi su Twitter, sfogandosi contro tutti: i democratici, gli alleati
«che si approfittano dell’America», i dimissionari a partire da Mattis,
tra le voci che meditasse di mandar via anche il capo della Fed Jerome
Powell, «colpevole» di aver alzato i tassi, e il ministro del Tesoro
Steve Mnuchin che ha passato le feste a cercare (inutilmente) di
rassicurare Wall Street crollata ai minimi. Come un cattivo presagio,
persino l’albero di Natale «nazionale» a Washington si è spento e, per
riaccenderlo, i dipendenti hanno lavorato gratis. «Tutto questo è una
vergogna», è stato il messaggio della conferenza stampa in cui Trump ha
dichiarato che lo shutdown andrà avanti finché i democratici non
cederanno sul muro, che i dipendenti federali sarebbero d’accordo con
lui e pronti a restare senza paga, e che esista già un misterioso
contratto per una nuova sezione della barriera in Texas. Risentito e
senza amici, Trump è sembrato davvero il Grinch quando, al telefono con i
bambini che per tradizione chiedono dove si trovi Babbo Natale, ha
detto a Collman Lloyd, 7 anni, che non è normale crederci ancora alla
sua età. Lei non se l’è presa (e la sua fede in Santa Claus è immutata) e
in serata anche l’inquilino della Casa Bianca è parso ravvedersi, come
vuole la favola, quasi avesse realizzato che, privando dei regali la
gente, la gioia del Natale non scompare. «Merry Christmas!», ha
annunciato su Twitter. Poi, sorpresa, ieri è volato in Iraq con Melania:
la sua prima visita alle truppe. Da lì possono attaccare l’Isis, ha
promesso. Da lì non si ritireranno.
Trump confida ai suoi
consiglieri di affrontare una «guerra al giorno» a Washington. Crisi
anche peggiori lo aspettano con i democratici che controllano la Camera
dal 3 gennaio. Così molto è cambiato dai tempi del Vietnam: ora quasi
quasi è meglio andare al fronte.