La Stampa 27.12.18
Una spia in ogni famiglia uigura
Così Pechino controlla gli islamici
di Carlo Pizzati
Immaginatevi
se ogni due mesi, per una settimana, vi capitasse in casa un quadro del
Partito Comunista mandato a vivere con voi come fosse un vostro
parente. Guarda la tv con voi, aiuta a cucinare pranzo e cena, tenta di
chiacchierare nel tinello, viene con voi ai matrimoni e ai funerali. Un
intruso. Una spia. Non avete scelta. Se rifiutate, rischiate di finire
in un campo di rieducazione dove, se per caso credete in Dio, vi viene
spiegato che la religione è una malattia mentale come la dipendenza
dalle droghe e la depressione. Va curata. Può essere contagiosa.
«Scambio culturale»
Uno
dei soliti film distopici di cui ormai siamo un po’ stufi tutti, direte
voi, ma è quello che sta accadendo dal settembre scorso nella regione
dello Xinjiang, Nord-ovest cinese, agli uiguri, la minoranza etnica
turcofona di religione islamica. Il governo cinese, infatti, sta
spedendo nelle loro case 1 milione e 100 mila quadri di partito. La
chiamano al campagna «Diventare Famiglia», definito come un simpatico
scambio culturale per integrare gli uiguri ai cinesi han. Ma è anche
parte di un più vasto programma per convertire al laicismo e per
costringere a diventare ligi membri del Partito Comunista fin dentro la
propria casa.
Certo, vi pagheranno dai 2 ai 7 euro al giorno per
coprire i costi, ma avrete un intruso in casa che vi comprerà un tavolo
come vuole lui, perché quello etnico che avete voi per mangiare seduti a
terra «non va bene», e magari cercherà di spiegarvi che tenere uno
spazio per le preghiere è uno spreco inutile.
Potreste rifiutarvi.
Ma questo rientrerebbe in quelle attività sospette come smettere di
fumare o bere alcol, farsi crescere la barba troppo lunga o avere un
nome «troppo religioso» che potrebbe farvi finire in una spiacevole
villeggiatura per settimane, mese o anni nei tanti campi di
«rieducazione» che dal 2014 raccolgono il 10% degli 11 milioni di
uiguri.
Le proteste del 2009
La stretta di quattro anni fa è
stata innescata da una manifestazione a Urumqi, capitale dello
Xinjiang, in onore di due vittime uigure in uno scontro con gli han. Il
26 luglio 2009 si scatenò una battaglia con 184 morti, di cui 137 han e
46 uiguri. Pechino teme l’indipendentismo uiguro che iniziò nella prima
metà del ‘900 e oggi spazia dal Partito per un Turkestan Orientale
indipendente, e ha trovato terreno fertile nel Movimento Islamico del
Turkestan Orientale e nell’Organizzazione di Liberazione del Turkestan
Orientale. Alcuni di questi gruppi hanno lanciato attacchi alle
popolazioni han, all’esercito cinese e alle strutture statali. Per gli
uiguri è la repressione che causa le tensioni. Per lo stato le tensioni
innescano la repressione.
Dal cibo ai nomi
Così tre mesi fa,
a Urumqi, è iniziata una campagna anti-halal, il cibo preparato secondo
la legge islamica, «per fermare la penetrazione nella vita laica
dell’Islam che fomenta l’estremismo». Il Partito Comunista locale ha
giurato ufficialmente su WeChat: «Combatteremo la battaglia decisiva
contro la pan-halizzazione. I funzionari pubblici devono provare a
mangiare di tutto. Devono credere nel marxismo-leninismo e non nella
religione. E parlare mandarino in pubblico». Proibito anche, con una
circolare, chiamare i figli con una ventina di nomi «troppo islamici»
come Muhammad, Arafat o Medina. Chi sgarra, finisce nei campi. Ogni
cittadino uiguro nello Xinjiang è catalogato come «sicuro», «normale» o
«non-sicuro», secondo metriche di età, fede, pratica religiosa, contatti
con l’estero o esperienze all’estero. I «non-sicuri» possono essere
regolarmente fermati e imprigionati senza processo, come emerso da varie
inchieste di gruppi per i diritti civili, e testimonianze riportate su
Foreign Policy e sul Wall St. Journal. Sono «scuole per sradicare
l’estremismo», dice il Partito. «Scuole vocazionali per criminali».
Le torture
Chi
c’è stato dice che sono campi di concentramento dove si è costretti a
ripudiare l’Islam, fare autocritica dei principi islamici e cantare
canzoni di propaganda comunista tutto il giorno. Alcuni sono costretti a
mangiare maiale e bere alcol. Casi di tortura. Uccisioni. Qui la fede
religiosa è vista come una patologia. «Per curare dall’influenza bisogna
fare la puntura agli ammalati, ma anche a una massa critica di
potenziali ammalati», spiega un funzionario di partito. Esistono vere e
proprie quote di arresti. In un villaggio, l’ordine era di portare
dentro il 40% della popolazione per curare «questo veleno della mente
con minaccia di contagio». Un funzionario han lo ha spiegato così: «Non
puoi trattare una a una le erbacce nascoste nel raccolto: devi spruzzare
il diserbante e ucciderle tutte».