La Stampa 23.12.18
Fausto Bertinotti
“Costituzione divorata
Più che il dibattito oggi conta la velocità”
intervista di Francesco Grignetti
Fausto Bertinotti, che pensa di questa legge di Bilancio presentata in extremis?
«A
mia memoria è un fatto senza precedenti. Direi che è l’atto conclusivo,
finale, nel rapporto tra Esecutivo e Legislativo. Molto semplicemente, è
il sequestro del Parlamento da parte del governo. Non esito a dire che
con questo atto, il Parlamento è ridotto a cassa di risonanza del
governo, la dialettica parlamentare viene sospesa, e di fatto il governo
assume poteri eccezionali. Senza dichiararlo, ma di fatto, le regole
ordinarie sono state sospese».
A sinistra si parla di “democrazia umiliata”. Concorda?
«Certo
è che un rapporto malato tra governo nazionale e governo europeo ha
determinato condizioni d’emergenza. A questo punto non si può più
decidere, se non stracciando le regole ordinarie. Tuttavia, mi lasci
dire che questo è l’atto finale di un processo che parte da lontano».
In che senso, presidente?
«Lentamente,
ma inesorabilmente, la Costituzione materiale ha divorato la
Costituzione. Tutto è stato indirizzato a demolire il punto cardine
della centralità del Parlamento».
Già, la Costituzione del 1948. La Costituzione più bella del mondo. La piange anche lei?
«Come
dicevo, il suo punto cardine era la centralità del Parlamento. Guardi,
conosco l’obiezione: si fece così perché tutti i partiti avevano paura;
non si sapeva chi sarebbe stato il vincitore e perciò il Parlamento
garantiva tutti. Così il Parlamento ha avuto un ruolo di garanzia per
tutti. Il principio di fondo era che il conflitto interno alla società
trovasse uno spazio di influenza. Interroghiamoci: come mai le grandi
riforme, penso allo Statuto dei Lavoratori, o la riforma del Servizio
sanitario nazionale, vennero con quei Parlamenti dove si discuteva
tanto? I costituenti non erano dei mattacchioni».
Come siamo arrivati all’oggi?
«Con
una serie di strappi. Dapprima, in quella fase che genericamente
possiamo chiamare Seconda Repubblica, prese forza l’aspirazione alla
governabilità, al decisionismo, al presidenzialismo. Cruciale divenne la
velocità della decisione, non l’ampiezza del dibattito. E i regolamenti
parlamentari divennero sempre più iugulatori. Non per caso, fu anche il
tempo della vocazione maggioritaria. In sé, il sistema maggioritario
considera un impaccio la discussione parlamentare».
E infatti la concede il minimo indispensabile.
«Esatto.
Nasce allora il disastro. Nella società, come anche negli ambienti
intellettuali, e nei governi, si consolida l’idea che il Parlamento sia
lento, farraginoso, sostanzialmente inutile. E badi che questo discorso
prescinde dai colori politici. Tutti hanno abusato della decretazione
d’urgenza».
Infine venne la Terza Repubblica.
«Non mi
meraviglia che chi pone in discussione la democrazia parlamentare a
favore della democrazia diretta, arrivi all’atto finale. Il voto di
fiducia posto su un maxi emendamento, senza permettere di fatto l’esame
del provvedimento, è l’iperbole dell’esercizio del potere del governo».
Lei
diceva: aspirazione al presidenzialismo. Si è parlato per decenni di
via francese; ora quasi ci siamo. Proprio quando il Presidente Macron,
che in Francia ha pieni poteri, si trova a fronteggiare la protesta di
piazza dei gilet gialli.
«Premetto che a differenza di tanti,
anche a sinistra, io considero i gilet gialli una risorsa e non una
iattura, ma qui potrebbe parlare la mia propensione movimentista. La
protesta dei francesi ci dice proprio questo: mancando la possibilità di
influenzare le scelte di chi governa attraverso il dibattito
parlamentare, in Francia può capitare che un Presidente prenda decisioni
impopolari, addirittura “sbagliate” come le ha definite, e la piazza è
la reazione al dominio del governo».