il manifesto 23.12.18
Tagli all’editoria, un emendamento pieno di bugie
Fact
checking. Tra dicerie, propaganda e mezze verità facciamo una verifica
dei fatti a proposito dell'abrogazione delle norme a sostegno
dell’editoria che il governo vuole introdurre nel maxiemendamento alla
manovra di bilancio
di Matteo Bartocci
ROMA Abbiamo sottoposto alcune affermazioni di dirigenti giallobruni sull’editoria alla verifica dei fatti.
Vediamo.
1) TUTTI I GIORNALI PRENDONO SOLDI PUBBLICI
FALSO.
Dopo anni di propaganda, pochi giorni fa è stato lo stesso
sottosegretario Vito Crimi ad ammettere che su 18mila testate registrate
in Italia, solo 150 prendono contributi pubblici (Crimi al Gr1 Rai del
16 dicembre). Come spieghiamo qui, solo editori con determinate
caratteristiche accedono al fondo per il pluralismo.
I cosiddetti
«giornaloni» (Repubblica, Corsera, Fatto, etc.) sono quotati in borsa e
hanno normali azionisti che li finanziano. Usufruiscono (ma solo fino al
2019 se passa la manovra) di una trentina di milioni in agevolazioni e
sconti per spese definite da diverse leggi.
2) L’EDITORIA È IL SETTORE CHE RICEVE PIÙ FONDI PUBBLICI
FALSO.
Più volte all’inizio del suo mandato, il sottosegretario Crimi ha
definito l’editoria come «il settore più assistito da parte dello
stato».
Fondi pubblici all’editoria – Fonte Dipartimento Editoria Palazzo Chigi
Il
sottosegretario calcolava una spesa pubblica di 3,5 miliardi di euro in
15 anni. Al di là della veridicità tutta da verificare di tale somma,
basti un dato a smentire la sua affermazione: i sussidi pubblici alle
fonti energetiche fossili dannose per l’ambiente (gas, carbone,
petrolio, ecoballe, etc.) sono pari a 11,5 miliardi all’anno.
Il
dato è ufficiale, fornito dal Ministero per l’Ambiente. Nel programma 5
Stelle c’era l’abrogazione di questi sussidi, ma nell’azione di governo e
nella manovra non ce n’è traccia.
3) IN ITALIA NON ESISTONO EDITORI PURI
PARZIALMENTE
VERO. Secondo un post apparso il 13 novembre sul blog delle stelle, «la
stragrande maggioranza dei principali giornali italiani a tiratura
nazionale è posseduto da editori in pieno conflitto di interessi».
L’affermazione è inesatta.
Secondo un fact checking dell’Agi, tra
le più importanti testate italiane alcune sono pubblicate da editori
sostanzialmente «puri», cioè che non hanno interessi rilevanti fuori
dall’editoria (testate Rcs e testate Riffeser), altre da editori
«impuri» (gruppo Gedi e gruppo Caltagirone).
Guardando all’estero,
invece, in Francia purtroppo gli editori «puri» non esistono proprio,
mentre in Germania sono la norma. Mista invece la situazione in Gran
Bretagna e Stati uniti.
Per paradosso, infine, i tagli
all’editoria danneggeranno sicuramente molti editori «puri», cioè le
testate pubblicate dalle cooperative di giornalisti, che per definizione
non fanno altro che il proprio giornale, rivista o radio.
4) I GIORNALI CHE PRENDONO CONTRIBUTI PUBBLICI DIPENDONO DAL GOVERNO
FALSO.
Proprio la varietà di testate che attingono al fondo per il pluralismo
dimostra che non esistono giornali di per sé governativi: Avvenire è
diverso da Libero, che è diverso dal manifesto o dal Primorski.
La
riforma Lotti aveva affidato al governo un puro ruolo amministrativo,
sottraendo alla politica il potere di decidere volta per volta gli
stanziamenti.
Al contrario, è proprio l’intervento di questo
governo nella manovra che stravolge d’imperio, cancellandola, la libertà
di informazione.
Per quanto riguarda il manifesto, nel Palazzo non abbiamo e non abbiamo mai avuto «governi amici».
5) IL TAGLIO AI GIORNALI È NEL CONTRATTO DI GOVERNO
FALSO.
Proprio la Lega aveva escluso tale possibilità. Ribadendola poi in
decine di interviste e interventi pubblici. Dimostrando la sua
contrarietà, peraltro, nel primo passaggio alla camera della manovra,
dove sia il relatore che il rappresentante del governo (entrambi
leghisti) avevano espresso parere contrario all’emendamento 5 Stelle,
provocandone il ritiro.
Ora, nel passaggio al senato, sarebbe solo un voltafaccia della Lega a dare il via libera al taglio.
Lo striscione del manifesto alla protesta contro i tagli all'editoria di fronte alla Camera indetta da Odg e Fnsi
Lo striscione del manifesto alla protesta contro i tagli all’editoria di fronte alla Camera indetta da Odg e Fnsi
6) L’EMENDAMENTO PATUANELLI ABOLISCE IL SOSTEGNO PUBBLICO ALL’EDITORIA
FALSO.
Lasciando da parte la questione del canone Rai, l’emendamento 5 Stelle
non abolisce affatto il fondo per il pluralismo, che rimane intatto
intorno ai 180 milioni. Taglia i fondi fino a vietarne l’accesso,
invece, solo a una ventina di testate più grandi sulle 52 ammesse al
contributo. È perciò un emendamento «ad testatam» che colpisce voci
diverse ma tutte critiche o scomode per la maggioranza.
Anzi, con
l’ultimo comma del testo, si crea a Palazzo Chigi una specie di «fondo
Crimi» a totale disposizione della presidenza del consiglio, al di fuori
della legge e del controllo del parlamento, da destinare a vaghi
progetti di «soggetti pubblici e privati» non meglio identificati per
promuovere la «cultura della libera informazione plurale, della
comunicazione partecipata e dal basso, dell’innovazione digitale e
sociale, dell’uso dei media».
La discrezionalità del governo nell’utilizzo dei fondi pubblici (che infatti restano) sarebbe massima.
7) CON L’EMENDAMENTO PATUANELLI LO STATO RISPARMIA
FALSO. Non un euro viene tolto al fondo per il pluralismo. Viene invece vietato l’accesso a determinate testate (vedi sopra).
8) SENZA ORDINE DEI GIORNALISTI I PRECARI STANNO MEGLIO
FALSO.
L’ordine dei giornalisti è un ente di diritto pubblico regolato dalla
legge. Abolirlo lascerebbe il campo ad associazioni di diritto privato
auto-organizzate. Nulla impedisce che nascano più o meno «forzatamente»
associazioni di giornalisti vicini a un editore piuttosto che a un
altro. Tipo: se vuoi scrivere qui ti fai rappresentare dall’associazione
X. Con tutto quel che ne consegue.
L’ordine dei giornalisti,
accogliendo un invito dello stesso Crimi, ha presentato al governo una
proposta di autoriforma che attende risposta.
9) GLI EDITORI DI GIORNALI SONO INCAPACI DI INNOVAZIONE
Il video di Gianluigi Paragone contro i fondi all’editoria
FALSO.
Non c’è settore industriale cambiato più della carta stampata. I fogli
che avete in mano possono sembrarvi identici a quelli di 30 anni fa. Ma
il modo di produrli non ha nulla a che vedere con quello dei nostri
nonni.
Un grande giornale non è un pezzo di carta inchiostrata, è
una struttura professionale e industriale in grado di far scrivere un
essere umano su qualsiasi argomento in qualsiasi parte del mondo in
qualsiasi momento dell’anno su diversi supporti.
Una struttura «pesante», simile a quella della protezione civile, sempre pronta in caso di emergenza.
10) LA CARTA È MORTA, IL FUTURO È DIGITALE
FALSO.
Gli editori della carta stampata sono stati travolti dalla «rivoluzione
digitale» ma l’85% dei ricavi viene ancora dalle copie cartacee. Ogni
giorno si vendono 2,8 milioni di copie di giornali, che hanno 16,2
milioni di lettori.
La rivoluzione digitale, non appena la banda
sarà disponibile, travolgerà anche le televisioni. Pubblicare un
articolo su web non ha ostacoli tecnici, presto questo ostacolo cadrà
anche per i filmati. I primi segnali di questo nuovo trend (vedi
Netflix) sono già visibili.
Fonte: Corriere della Sera
Inoltre,
a parte i «Gafa» (acronimo per Google, Apple, Facebook e Amazon) e gli
«Ott» (i cosiddetti: “Over the top”) l’editoria digitale è priva di
innovazione.
Il 98% dei giornali on line italiani dipende solo dalla pubblicità e fattura meno di 21mila euro all’anno (dati Agcom).
11) BASTA IL LIBERO MERCATO AD ASSICURARE IL PLURALISMO
FALSO.
Non c’è settore culturale che non sia sostenuto – nelle forme più varie
– da parte dello stato: libri, cinema, teatri, opere liriche, musei,
mostre, monumenti. Nessuno di questi vivrebbe solo vendendo biglietti.
L’informazione rientra tra i diritti costituzionali dei cittadini che lo stato deve garantire.
Al
contrario, il settore dell’editoria è in preda a fenomeni di
concentrazione in ogni parte della filiera: 2 gruppi (Rcs e Gedi)
diffondono da soli quasi la metà delle copie. In molte zone del paese i
distributori locali si riducono a uno per regione, i grandi distributori
nazionali sono appena 2-3.
Il mercato, da solo, favorisce gli
oligopoli. Nel caso dell’informazione, questo è tipico di regimi
autoritari, e non di democrazie.
12) I CONTRIBUTI PUBBLICI ESISTONO SOLO IN ITALIA
Jessica Lange per il manifesto – foto Luca Celada
FALSO.
A parte il canone per la tv pubblica (vedi Rai o Bbc solo per fare due
esempi), forme di sostegno diretto o indiretto all’informazione esistono
nella gran parte dei paesi europei, dalla Francia al Lussemburgo.
Il
Canada nella sua manovra 2019 ha stanziato oltre 600 milioni di dollari
e un dibattito sulla necessità della protezione pubblica di testate
soprattutto locali è aperto anche negli Stati uniti, vista l’ecatombe di
giornali statali o di contea.
Ci sono zone dell’Occidente dove,
semplicemente, l’informazione e il controllo democratico e trasparente
del potere non esiste più.
L’Italia non può finire tra queste.