La Stampa 21.12.18
I curdi cercano aiuto da Assad per resistere ai raid turchi
di G. Sta.
I
curdi sono di nuovo soli, con le «montagne come unici amici» e poche
carte da giocare. La dirigenza del Pyd, l’ala politica del gruppo
guerrigliero Ypg, protagonista della lotta contro l’Isis, fatica ad
assorbire lo choc dell’annuncio di Trump, poche righe che per il popolo
del Rojava, il Kurdistan siriano, possono significare la fine. I curdi
pensavano che le «migliaia di morti e feriti» lasciati sul terreno nella
lotta allo Stato islamico avrebbero garantito la protezione Usa per gli
anni a venire. Non avevano mai chiuso però i canali di dialogo con il
governo di Bashar al-Assad. Ora negoziati sono in corso, secondo fonti
vicine a Damasco, per assicurare la «protezione dei posti di frontiera»
da parte delle forze del regime. Assad chiede come immediata merce di
scambio e garanzia, la cessione del campo petrolifero Al-Omar, nella
provincia di Deir ez-Zour, il più grande della Siria e cassaforte dei
curdi.
Da Kobane sottolineano che l’intesa è possibile, anche
perché «noi non abbiamo mai puntato all’indipendenza, ma all’autonomia
con il riconoscimento della nostra cultura e la possibilità di usare la
nostra lingua accanto all’arabo nell’amministrazione e nelle scuole». Ma
non si fidano davvero. Già nel 1998 sono stati sacrificati da Damasco,
con l’espulsione del loro leader Abdullah Ocalan, dopo un accordo fra
Assad padre e Ankara. Ora temono una nuova intesa fra Assad figlio e
Erdogan, simile a quella raggiunta per Idlib. Cioè la cessione alla
Turchia di una fascia di territorio di confine, comprese le principali
città curde: Kobane, Qamishlo, Hassakah. In cambio il regime potrebbe
rioccupare il resto del territori a Nord-Est, con i principali pozzi
petroliferi. Per questo ieri una delegazione curda è arrivata a Parigi,
per chiedere aiuto agli europei. Ma è difficile che Parigi e Londra
possano sostituirsi a Washington e per i curdi è di nuovo la «sindrome
dell’abbandono» da parte dell’Occidente, sperimentata varie volte.