venerdì 21 dicembre 2018

Il Fatto 21.12
Trump tradisce i curdi. Lo vuole Erdogan (e l’Iran)
Usa - L’annuncio del ritiro dei militari americani rimasti a est ha messo in allarme l’esercito di Rojava: “Restano sguarnite anche le prigioni del Califfo”
di Roberta Zunini


La decisione di Trump di riportare a casa gli ultimi duemila militari americani rimasti nell’est della Siria a maggioranza curda ha lasciato gli alleati locali e stranieri basiti e preoccupati. Non solo il Pentagono, il Dipartimento di Stato e i più autorevoli senatori repubblicani ma anche il Regno Unito e la Francia, i partner nella coalizione anti Isis che contano più foreign fighters. Circa 3 mila musulmani di cittadinanza europea arruolati dall’Isis e sopravvissuti alla distruzione di Raqqa sono detenuti nelle carceri dei curdi siriani delle Unità popolari (Ypg), la milizia che costituisce la spina dorsale delle Forze democratiche siriane (Sdf), la compagine militare addestrata e supportata dai soldati americani che comprende anche gruppi di arabi siriani oppositori sia del presidente Assad sia dell’Isis. Grazie soprattutto alla strenua resistenza curda, iniziata nella città di Kobane 4 anni fa, il Califfato Islamico è stato quasi annichilito. Alcune sacche di resistenza al confine tra Siria e Iraq però continuano a preoccupare coloro che vivono in queste zone. Secondo Trump e il presidente turco Erdogan però il pericolo che risorgano è ormai tramontato. I curdi siriani dovranno quindi cavarsela da soli contro un eventuale ritorno in forze nella zona dei jihadisti e contro l’esercito turco che potrebbe varcare a est il fiume Eufrate ed entrare nel Rojava da un momento all’altro, come annunciato dal Sultano nei giorni scorsi. Per Erdogan i curdi siriani sono nemici giurati dato il loro stretto legame con il Pkk di Ocalan. La decisione di The Donald ha mostrato ancora una volta che i curdi vengono usati grazie alla loro conoscenza del terreno e allo spirito di sacrificio, ma quando si tratta di proteggerne l’autonomia vengono abbandonati. Finora a ostacolare l’agenda di Erdogan nel Rojava sono stati proprio gli Usa che hanno fatto dei curdi la propria fanteria. Subito dopo il clamoroso annuncio a sorpresa di Trump via Twitter, il Congresso nazionale del Kurdistan in esilio a Bruxelles ha diramato una nota in cui spiega che l’offensiva turca sarà un bagno di sangue per tutti i curdi del Rojava, civili compresi, come era accaduto ad Afrin, il cantone a ovest del fiume Eufrate, parte del Rojava, invaso dall’esercito turco all’inizio dell’anno. Inoltre si sottolinea che se le prigioni dove sono detenuti i foreign fighter potrebbero essere lasciate sguarnite o attaccate dai turchi e i jihadisti lasciati scappare.
“Per ora non ci sono stati grandi movimenti sul terreno, ma ci aspettiamo che le cose cambino presto e in peggio per noi”, dice Salih Muslim, responsabile delle relazioni diplomatiche del Pyd, il partito dell’Unione democratica curda del Rojava il cui braccio militare è costituito dallo Ypg. In una dichiarazione via internet, il comando generale delle Forze democratiche siriane spiega: “Mentre stiamo ancora combattendo contro il terrorismo nelle ultime roccaforti dell’Isis nel sud-est del paese e contro le sue cellule dormienti che stanno cercando di riorganizzare i suoi ranghi nella regione, la decisione della Casa Bianca di ritirarsi dalla Siria settentrionale e orientale influenzerà negativamente i nostri sforzi. Noi, come Sdf, vogliamo che a livello internazionale si sappia che la sconfitta finale del terrorismo non è ancora arrivata e questa dura fase richiede sforzi da tutte le parti e in particolare della Coalizione internazionale che deve fornire maggiore e continuo sostegno alle truppe sul terreno e non al ritiro dalla regione”. I curdi da tempo lamentato di non avere la capacità di gestire i detenuti dell’Isis e i loro familiari e hanno chiesto alle potenze occidentali di rimpatriarli per processarli in patria. Ma finora nessuno ha risposto. Nemmeno la Russia che ha anch’essa combattenti dell’Isis catturati. Putin ha dato parere positivo alla decisione di Trump. Se potesse lo ringrazierebbe affettuosamente, così come dovrebbe fare il nemico Iran e gli Hezbollah libanesi, alleati del presidente Assad. Il ritiro americano giova a tutti e tre.