Il Fatto 21.12
Trump tradisce i curdi. Lo vuole Erdogan (e l’Iran)
Usa
- L’annuncio del ritiro dei militari americani rimasti a est ha messo
in allarme l’esercito di Rojava: “Restano sguarnite anche le prigioni
del Califfo”
di Roberta Zunini
La decisione di
Trump di riportare a casa gli ultimi duemila militari americani rimasti
nell’est della Siria a maggioranza curda ha lasciato gli alleati locali e
stranieri basiti e preoccupati. Non solo il Pentagono, il Dipartimento
di Stato e i più autorevoli senatori repubblicani ma anche il Regno
Unito e la Francia, i partner nella coalizione anti Isis che contano più
foreign fighters. Circa 3 mila musulmani di cittadinanza europea
arruolati dall’Isis e sopravvissuti alla distruzione di Raqqa sono
detenuti nelle carceri dei curdi siriani delle Unità popolari (Ypg), la
milizia che costituisce la spina dorsale delle Forze democratiche
siriane (Sdf), la compagine militare addestrata e supportata dai soldati
americani che comprende anche gruppi di arabi siriani oppositori sia
del presidente Assad sia dell’Isis. Grazie soprattutto alla strenua
resistenza curda, iniziata nella città di Kobane 4 anni fa, il Califfato
Islamico è stato quasi annichilito. Alcune sacche di resistenza al
confine tra Siria e Iraq però continuano a preoccupare coloro che vivono
in queste zone. Secondo Trump e il presidente turco Erdogan però il
pericolo che risorgano è ormai tramontato. I curdi siriani dovranno
quindi cavarsela da soli contro un eventuale ritorno in forze nella zona
dei jihadisti e contro l’esercito turco che potrebbe varcare a est il
fiume Eufrate ed entrare nel Rojava da un momento all’altro, come
annunciato dal Sultano nei giorni scorsi. Per Erdogan i curdi siriani
sono nemici giurati dato il loro stretto legame con il Pkk di Ocalan. La
decisione di The Donald ha mostrato ancora una volta che i curdi
vengono usati grazie alla loro conoscenza del terreno e allo spirito di
sacrificio, ma quando si tratta di proteggerne l’autonomia vengono
abbandonati. Finora a ostacolare l’agenda di Erdogan nel Rojava sono
stati proprio gli Usa che hanno fatto dei curdi la propria fanteria.
Subito dopo il clamoroso annuncio a sorpresa di Trump via Twitter, il
Congresso nazionale del Kurdistan in esilio a Bruxelles ha diramato una
nota in cui spiega che l’offensiva turca sarà un bagno di sangue per
tutti i curdi del Rojava, civili compresi, come era accaduto ad Afrin,
il cantone a ovest del fiume Eufrate, parte del Rojava, invaso
dall’esercito turco all’inizio dell’anno. Inoltre si sottolinea che se
le prigioni dove sono detenuti i foreign fighter potrebbero essere
lasciate sguarnite o attaccate dai turchi e i jihadisti lasciati
scappare.
“Per ora non ci sono stati grandi movimenti sul terreno,
ma ci aspettiamo che le cose cambino presto e in peggio per noi”, dice
Salih Muslim, responsabile delle relazioni diplomatiche del Pyd, il
partito dell’Unione democratica curda del Rojava il cui braccio militare
è costituito dallo Ypg. In una dichiarazione via internet, il comando
generale delle Forze democratiche siriane spiega: “Mentre stiamo ancora
combattendo contro il terrorismo nelle ultime roccaforti dell’Isis nel
sud-est del paese e contro le sue cellule dormienti che stanno cercando
di riorganizzare i suoi ranghi nella regione, la decisione della Casa
Bianca di ritirarsi dalla Siria settentrionale e orientale influenzerà
negativamente i nostri sforzi. Noi, come Sdf, vogliamo che a livello
internazionale si sappia che la sconfitta finale del terrorismo non è
ancora arrivata e questa dura fase richiede sforzi da tutte le parti e
in particolare della Coalizione internazionale che deve fornire maggiore
e continuo sostegno alle truppe sul terreno e non al ritiro dalla
regione”. I curdi da tempo lamentato di non avere la capacità di gestire
i detenuti dell’Isis e i loro familiari e hanno chiesto alle potenze
occidentali di rimpatriarli per processarli in patria. Ma finora nessuno
ha risposto. Nemmeno la Russia che ha anch’essa combattenti dell’Isis
catturati. Putin ha dato parere positivo alla decisione di Trump. Se
potesse lo ringrazierebbe affettuosamente, così come dovrebbe fare il
nemico Iran e gli Hezbollah libanesi, alleati del presidente Assad. Il
ritiro americano giova a tutti e tre.