il manifesto 21.12.18
Netanyahu: agiremo con forza contro l’Iran in Siria, con il sostegno Usa
Usa/Israele/Siria.
Il premier israeliano alza i toni dello scontro con Tehran dopo
l'annuncio del ritiro delle forze Usa dalla Siria, fatto due giorni da
da Trump. Ma per i suoi intenti gli occorre anche il via libera di Mosca
di Michele Giorgio
«Israele
continuerà ad agire con forza contro i tentativi dell’Iran di
arroccarsi in Siria. Intensificheremo gli sforzi e so che lo faremo con
il pieno sostegno ed appoggio degli Stati uniti». Parole di Benyamin
Netanyahu e suonano come una mezza dichiarazione di guerra dopo
l’annuncio di Donald Trump sul ritiro delle forze militari Usa dalla
Siria. Che l’Isis sia stato sconfitto, come afferma Trump, oppure no, al
premier israeliano interessa davvero poco. Nella testa ha un solo
obiettivo: rendere più aggressivo l’approccio di Israele nei confronti
della presenza in Siria di forze dell’Iran alleato del presidente Bashar
Assad. E il ritiro dei circa 2000 soldati Usa dal territorio
settentrionale della Siria potrebbe facilitargli il compito. Sono poco
aderenti alla realtà i toni apocalittici usati ieri della stampa
israeliana riguardo a un presunto “abbandono” dello Stato ebraico da
parte di Trump dopo che lo scorso settembre, il consigliere alla
sicurezza nazionale Usa John Bolton, aveva assicurato che i soldati
americani non avrebbero lasciato la Siria senza un ritiro iraniano dal
paese.
Israele vuole tornare a colpire con forza in Siria la
Guardia Rivoluzionaria iraniana e il movimento sciita libanese
Hezbollah. Lo penalizza da diverse settimane la piccola crisi nei
rapporti con Mosca cominciata dopo l’abbattimento qualche mese fa di un
aereo da trasporto russo in fase di atterraggio in Siria attribuito da
Vladimir Putin e i suoi generali a una manovra diversiva di
cacciabombardieri israeliani. Un “incidente” che ha spinto la Russia a
consegnare a Damasco il sistema di difesa antiaereo S-300 che ha
limitato fortemente i movimenti dell’aviazione con la stella di Davide
nei cieli della Siria.
Netanyahu è impegnato a rinnovare l’intesa
con Putin che dal 2015 ha permesso a Israele, con la benedizione della
Russia alleata di Assad, di poter colpire senza restrizioni in Siria. E i
segnali che arrivano da Mosca sono relativamente incoraggianti per
Israele. Il presidente russo, secondo alcune fonti, sarebbe disposto a
dimenticare l’abbattimento dell’aereo e la morte di 15 avieri russi in
cambio di un atteggiamento più “responsabile” di Israele ma verrebbe
frenato dai suoi comandi militari. Con il consenso esplicito di Trump e,
forse, in futuro anche quello tacito di Putin, Netanyahu avrebbe
libertà di azione che cerca. Sul premier peraltro si concentrano
nuovamente le pressioni dell’ex ministro della difesa ultranazionalista
Avigdor Lieberman. Ieri, intervistato dalla radio delle forze armate,
Lieberman ha parlato di «aumenti significativi del rischio di un
conflitto generale nel nord, sia in Libano che in Siria», perché, ha
aggiunto, la partenza dei soldati americani nell’area siriana al confine
con l’Iraq significa creare «un territorio contiguo sciita fra Iran,
Iraq e Siria». In sostanza Lieberman ha fatto capire che, dipendesse da
lui, avrebbe già scatenato l’offensiva militare contro l’Iran, così come
avrebbe attaccato Gaza se Netanyahu non l’avesse fermato.