La Stampa 20.12.18
Illuminismo ultrà
America (1775-1848) La rivoluzione diventa globale
Johnathan Israel riscrive la storia della nascita degli Usa
di Massimiliano Panarari
La
Rivoluzione americana, svoltasi prima di quella francese, tra il 1774 e
l’83, ha rappresentato non soltanto la «nascita di una nazione», ma un
evento di portata autenticamente globale. E un «innesco» fondamentale
nell’ambito della diffusione della modernità democratica.
C’è un
ritorno di interesse sul tema, testimoniato da volumi come Rivoluzioni
americane (Einaudi, pp. 640, € 34) in cui Alan Taylor, «Thomas Jefferson
Professor» di Storia all’Università della Virginia, legge la fondazione
degli Stati Uniti in modo innovativo sotto il profilo dell’assetto
geopolitico e delle relazioni internazionali dell’epoca. Uno dei
maggiori storici di questi nostri anni, Jonathan Israel (professore di
Storia Moderna all’Institute for Advanced Study dell’Università di
Princeton), nel suo ultimo, monumentale, libro Il grande incendio. Come
la Rivoluzione americana conquistò il mondo, 1775-1848 (Einaudi, pp.
880, € 38; trad. di Dario Ferrari e Sarah Malfatti), si propone di
mostrare come l’universo politico-culturale atlantico sia stato definito
in maniera fondativa dall’insurrezione repubblicana delle Tredici
colonie contro l’impero di Sua maestà britannica. Leggendola come una
pagina fondamentale, culturalmente influenzata in modo molto
significativo dal minoritario ma dirompente «Illuminismo radicale», la
categoria più nota elaborata nei suoi lavori da Israel, ovvero il filone
intellettuale che dallo spinozismo, passando per il libertinismo e i
free thinkers, trovò il suo approdo nella componente non moderata
(quella panteista, atea, repubblicana e, spesso, appartenente alla
massoneria) della cultura illuministica.
Israel sviluppa lungo
tutto il volume l’esistenza di una demarcazione – e di una dialettica
intensa – tra un Illuminismo moderato e uno radicale in seno alla
Rivoluzione americana, contestando e rivedendo la tesi storiografica
ampiamente radicata secondo la quale la sollevazione delle colonie
d’Oltreatlantico non mirava all’edificazione di una forma nuova di
società. E, invece, argomenta lo studioso analizzando il pensiero e le
dottrine filosofiche di vari protagonisti di quella stagione, la
tendenza democratica e radicale della Rivoluzione americana si
riproponeva precisamente la costruzione di un paradigma innovativo di
politica e società, fondato sulla ragione e volto alla massimizzazione
della felicità umana – come venne giustappunto percepito con nettezza
dall’intellighentzia del Vecchio continente che guardava agli
avvenimenti del Nuovo.
La dualità dell’Illuminismo americano
ricalca così la doppia anima di quello europeo, e permette di parlare,
secondo Israel, di un complessivo Illuminismo transatlantico; e,
analogamente, anche le dinamiche e le evoluzioni politiche delle
Rivoluzioni americana e francese seguono percorsi simili, unificati
dalle idee di Condorcet, Brissot, Mercier e Maby, almeno fino alla fase
prerobespierrista e precedente la presa del potere dei montagnardi nel
giugno 1793 (alla cui analisi aveva dedicato un altro volume imponente,
La Rivoluzione francese, pubblicato nel 2016 sempre per i tipi di
Einaudi).
L’impianto di Israel va dunque in direzione contraria a
quanto sostenuto da molta storiografia, ma anche da Hannah Arendt e
Gertrude Himmelfarb, secondo le quali tra l’Illuminismo francofono e
quello angloamericano sussistevano divergenze e diversità strutturali.
L’autore de I
l grande incendio formula una tassonomia estensiva
dell’Illuminismo radicale a partire dai nuclei fondamentali del
repubblicanesimo democratico e del rifiuto dell’autorità religiosa, nel
nome della rivolta contro il «sistema misto» che salvava il ruolo della
monarchia e il primato del potere nobiliare, e contro quelli che Thomas
Paine, il leader rivoluzionario più letto in Europa, etichettava come i
«modelli corrotti» di governo, ossia la triade della governance
dell’Antico regime (corona, aristocrazia e clero).
L’Illuminismo
radicale nella versione di Israel radica tanto il perseguimento della
soddisfazione individuale che la strutturazione della sfera pubblica nei
valori laici; lo studioso inglese inserisce così in questa categoria
tutti gli intellettuali e uomini politici che avevano teorizzato la
separazione netta tra Stato e Chiesa, la secolarizzazione del potere
pubblico e l’eliminazione della teologia e dei finanziamenti agli
istituti religiosi dal campo scolastico ed educativo. Diventano quindi a
essa riconducibili non soltanto le figure dei pensatori e attori
politici atei e materialisti, ma anche quelli deisti e gli unitariani
più radicaleggianti come quelli anticalvinisti.
L’Illuminismo
radicale americano risulta così una galassia nella quale rientrano, a
vario titolo, Jefferson, Madison, Paine, Franklin (autentica «icona»
all’estero), Mason, Rittenhouse, Barlow, Monroe, Young e Allen. La
«Rivoluzione atlantica», come mostra per filo e per segno Israel con una
ricchezza documentaria impressionante, ha contraddistinto la genesi
della democrazia liberalrappresentativa moderna introducendo i diritti
umani e la libertà di espressione e di stampa, cercando di arrestare
l’oppressione delle minoranze etniche e provando a produrre un codice
internazionale in grado di ridurre gli esiti nefasti della guerra. Vale a
dire, promuovendo le libertà repubblicane, dentro e fuori i confini
della nazione. Con un effetto di «disseminazione» straordinario sulle
vicende successive di Francia, Olanda, Irlanda e dell’America latina,
fino all’opera di Gaetano Filangieri.